Fa un certo effetto incontrare il direttore di Cannes a cena con una squadra di produttori e registi della new wave italiana. Angelo Barbagallo e Tilde Corsi, Vincenzo Marra e Gabriele Muccino, Enzo Porcelli e Cristina Comencini, Riccardo Tozzi e Giampaolo Letta a discutere con il successore di Gilles Jacob. Una cosa che forse con l’attuale presidente del festival non sarebbe accaduta.
Già perché Thierry Frémaux, il giovane délégué, ama incontrare la gente di cinema. A Roma ha trascorso tre giorni, fitti di appuntamenti. Qualche proiezione – ma è prematuro parlare di programmi per il festival che si terrà dal 15 al 26 maggio 2002. “Tutto si consuma veramente tra gennaio e fine aprile, quello è il tunnel della selezione, la lunga notte insonne”, declama Frémaux. Fin troppo diplomatico. Comunque ha accettato di buon grado l’invito di Italia Cinema per una cena di lavoro in attesa di partire per l’America Latina.
“Incontro volentieri i produttori. Più che i registi. Per i primi è meno doloroso il gioco delle selezioni, per gli altri può essere una tortura: a volte anche un bel film non viene scelto”.
Naturalmente i viaggi di Frémaux non si fermano all’Italia. E’ già stato in Germania, visiterà molti altri paesi. Ma con noi sembra esserci un rapporto speciale. Confermato dalla sua presenza nella giuria di Annecy, il mese scorso. Era lui il presidente e ha voluto premiare Tornando a casa e Sole negli occhi.
Qual è la sua impressione sul cinema italiano di oggi?
C’è qualcosa che si muove. Da Villerupt a Parigi, fino ad Annecy è in atto una riscoperta del vostro cinema, che un tempo era grande. Proprio ad Annecy ho scoperto giovani registi promettenti e questo mi ha confermato una sensazione positiva: per parlare di due autori che erano qui stasera, Marra e Muccino fanno un cinema diversissimo eppure altrettanto interessante. Mi colpisce anche il clima di amicizia e solidarietà che c’è tra produttori e registi.
E qual è l’atteggiamento verso Cannes?
Gli italiani conoscono bene il festival e hanno un atteggiamento molto disponibile. Per esempio, molti produttori sanno benissimo se un loro film è adatto o no a Cannes.
Personalmente che rapporto ha con il cinema italiano contemporaneo?
Di familiarità. Nel mio cinema, a Lione, ho spesso programmato film italiani: Le mani forti, La mia generazione.
C’è un cinema che ama in particolare?
Il cinema che amo è…il cinema che amo. No, non ho una religione. E’ altrettanto difficile fare un film popolare o un film intellettuale.
Sa che Moretti rappresenterà l’Italia all’Oscar?
Sì e ne sono fiero. Questa scelta dimostra che l’anno scorso non ci siamo sbagliati e che la giuria ha fatto bene a dare la Palma d’oro proprio a Moretti, che il pubblico ha avuto ragione a decretare un grande successo per questo film. La stanza del figlio è un grande film e gli americani se ne accorgeranno.
Tra “Amélie” e “La stanza del figlio”, entrambi in corsa per l’Oscar, chi sceglierebbe?
Il mio cuore batte per tutti e due. Amélie è francese, ma al cinema lo sciovinismo non conta.
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