The War Show: mostrare la guerra

Con il documentario di Andreas Dalsgaard e Obaidah Zytoon hanno aperto quest’anno le Giornate degli Autori


VENEZIA – Con The War Show di Andreas Dalsgaard e Obaidah Zytoon hanno aperto quest’anno le Giornate degli Autori. Un film potente, sulla guerra in Siria, che si basa su un concetto forte e proprio grazie a questo riesce a restare fresco e interessante nonostante tratti di una situazione in cui le cose cambiano da un momento all’altro e nulla è definito o definibile. Qui, non è il regista a scegliere la sua visione della realtà, è quest’ultima a dettare le regole. E’ un film nato sui cellulari, un video-diario dal grande crogiolo siriano di ieri che ci fa comprendere l’oggi. Nel marzo 2011, la conduttrice radiofonica Obaidah Zytoon e alcuni suoi amici si uniscono alle proteste di piazza contro il presidente Bashar al-Assad.

Consapevoli che la primavera araba avrebbe cambiato il loro paese, questo gruppo di artisti e attivisti inizia a riprendere la propria vita e gli eventi circostanti. La violenta risposta del regime, però, spinge la Siria in una spirale sanguinosa, e le speranze in un futuro migliore vengono spente dalla brutalità, le detenzioni e le morti provocate dalla guerra civile. Un road movie personale che coglie il destino della Siria attraverso lo sguardo intimo di una ristretta cerchia di amici. “Avevo le idee molto chiare – dice Dalsgaard – il materiale era chiaramente molto frammentario, ma non volevo prendere la strada facile. Non volevo un tono drammatico, non volevo una storia di un eroe, o un percorso personale. E’ un road movie visto attraverso l’occhio di chi lo ha vissuto, non volevamo ci fossero scene di battaglia spettacolari o spettacolarizzanti, volevo cogliere le sfumature”.

Il titolo mette insieme dramma e intrattenimento, e dà già una chiave di lettura: “si riferisce naturalmente allo show radiofonico – continua il regista – che si chiamava ‘Lo show normale’ e naturalmente giocava con il fatto che laggiù niente è normale. Parlava attraverso codici, e la gente capiva questi codici. Era il solo modo di comunicare alcune cose ed era molto popolare. Ma naturalmente significa anche ‘mostrare la guerra’. Volevo che fosse un film di guerra diverso, non che si indugiasse sulle battaglie, i soldati e le armi. Volevo che si capisse esattamente quello che sta accadendo. Non si tratta solo della crisi della Siria, ma di una crisi globale. Pensiamo al dramma dei profughi, come influenzerà anche il resto del mondo. Volevo che tutti, in ogni parte del mondo, potessero identificarsi con i miei protagonisti. C’è il pop libanese, e ci sono i Doors. Purtroppo non ho grandi speranze per il futuro. Il regime è ancora forte e supportato dalla Russia, e compie gli atti più criminali che si possano immaginare. Le cose non cambieranno ancora per tanto tempo. Ma ritengo comunque che fare questo lavoro sia importantissimo. Possiamo fare tante cose, dare fondi, aiutare i rifugiati. Il cinema è una di queste”.

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02 Settembre 2016

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