Un castello bianco nella notte nera. Un buio pesto squarciato dalla luce di una torcia di fuoco, fiamme che avvolgono anche Cathrine, musicista di fama che lì, nel giardino della sua fiabesca quando sinistra villa, ha l’urgenza di dar fuoco a uno spartito.
Il Pifferaio di Hamelin è l’ispirazione di The Piper, horror diretto da Erlingur Thoroddsen e interpretato da Charlotte Hope (Melanie), la flautista protagonista, e da Julian Sands (Camera con vista, Vatel, Il pasto nudo), il direttore d’orchestra Gustafson, qui nella sua ultima parte per il cinema.
Una leggenda e una melodia, terrificante la prima, maledetta l’altra: ricorre il 50mo anniversario di un dramma, l’incendio del teatro in cui Melanie partecipa alle prove con gli altri orchestrali, un tempio della musica ma anche un “tempio maldetto”, perché lì rimasero vittime una cinquantina di bambini, al tempo. Come bambina è la sua Zoe, enfant prodige del flauto, che indossa l’apparecchio acustico.
L’improvvisa scomparsa di Cathrine ha spiazzato, ma per celebrare la triste ricorrenza dell’incendio del teatro e, in fondo, la mentore musicale di Melanie, lei stessa si offre, non senza incontrare ritrosie del Direttore e la concorrenza di un collega flautista, di completare il Concerto per bambini, opera della sua Maestra, mai eseguita pubblicamente: Melanie, riuscendo a rintracciare la partitura incompleta e un nastro con una parziale incisione, si mette all’opera, comprendendo, però, che l’ascolto di quella melodia e il testo di quello spartito non siano quello che si creda, dubitando addirittura che possa essere creazione della Maestra.
È una musica che incanta e crea “allucinazioni visive”: intermittenze di acqua, c’è un lago che ricorre. E poi ci sono topi, questo nella vita reale dei protagonisti, topi che – senza un perché – serpeggiano negli istanti delle esistenze dei protagonisti, stupendo, spaventando.
Melanie cerca il parere di Philippe, amico e docente musicologo, che condivide con lei il tema della “discordanza”, concetto chiave della tessitura del film. Quella musica, infatti, come afferma la stessa al Professore, “è una prigione” e lei – cacciata nel frattempo dall’orchestra per non voler portare a termine la scrittura della partitura – capisce di dover riportare l’armonia nel caos. E – a supporto dell’intuizione – anche un’annotazione in latino, lì su uno dei fogli dello spartito, che recita: “liberato dalla mia prigione avrò la mia vendetta”.
Melanie, per riscattare la memoria di Cathrine, e per opporsi al risveglio di una forza del male capace di provocare morte, comincia una corsa contro il tempo e – durante la serata del concerto ufficiale – lo riesce a interrompere bruscamente, affinché non venga eseguito fino all’ultima nota ma… da qui il principio dell’epilogo, tra manifestazione aperta dell’orrore e aspirazione alla liberazione dal male.
Prende così la scena una creatura mostruosa, antropomorfa, scheletrica e sanguinolenta, mostrata però in uno studiato gioco di luci e ombre continuo, che naturalmente dichiara uno stilema del Genere, senza però restituirne uno splatter che sconfini nel ridicolo, anzi mantenendo nella visione fotografica del cono d’ombra alternato alla luce accecante un profilo misterioso: questo essere prende vita da dentro un corpo umano, fiorendo orrendamente dentro il petto e sotto l’epidermide, fino a fuoriuscirne; è mostruoso quanto incantevole, perché in questa sequenza del concerto interrotto la platea s’è addormentata ma i bambini – proprio come nella favola classica – seguono a passo d’automa la creatura sanguinolenta, come se in quel momento il palco del teatro si facesse accesso a una dimensione altra, una porta prende vita, una via per l’altrove si apre…
È però la forza della musica, quella su un fronte maledetta, a rivelare anche la propria essenza salvifica: un altro flauto, dall’anima bianca, suona, e suonando disturba il mostro, che da possessore d’anime viene in fondo a sua volta posseduto dalla sua stessa vicenda.
La tranquillità torna a regnare nella vite umane e “tre mesi più tardi”, mentre Zoe sta dimostrando di sfamare il suo talento musicale, i bambini non si ricordano nulla di tutto l’accaduto, la mente li ha difesi dall’orrore e li ha riportati all’innocenza ma… Melanie è davvero riuscita a spezzare la maledizione?
Il film, horror sì, però ha il pregio di non scadere in una ricorrente sfilata di luoghi comuni e visioni prevedibili: ci sono incursioni proprio del Genere, come la classica mano ossuta e dalle unghie affilate, o gli occhi brillanti di fuoco, ma si tratta di gocce che – con cadenza parca – cadono nella narrazione di tanto in tanto, restituendo così un racconto scuro, in cui un livello di mistero superiore al comprensibile domina, ma non disturba e, anzi, offre un intreccio interessante, proprio perché spolverato d’horror ma non braccato dallo stesso, a dispetto della storia e della tensione, che si crea al di là del Genere in sé, o comunque con un uso non sbrodolato del medesimo.
The Piper gode anche delle musiche del compositore Christopher Young, già autore delle colonne sonore The Grudge, The Exorcism of Emily Rose e Sinister.
Il film esce al cinema dal 18 gennaio distribuito da Vertice 360.
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