Come il suo eroe protagonista, anche The Flash, in sala dal 15 giugno, ha un multiverso di situazioni da salvare. Il nuovo film di Andy Muschietti (It) è la tredicesima pellicola del DC Extended Universe, l’universo narrativo con cui per dieci anni Warner Bros. ha tentato di rispondere alla Marvel di Disney, con un po’ di sventura. Pellicole mal digerite da pubblico e critica, segnate da storie produttive peggiori di quelle raccontate – tra polemici cambi di registi, toni e direzioni – hanno caratterizzato un’avventura cinematografica costruita sulle spalle di personaggi amatissimi come Batman e Superman.
The Flash non è da meno. Per anni si è trascinato per i teatri di Hollywood con mille problemi, ultimo dei quali legato al controverso attore protagonista, Ezra Miller, accusato di violenza, furto di proprietà e molto altro. Qualcosa però, in questo nuovo capitolo, per anni rimandato, rivisto, rilanciato, sembra salvarlo dal triste destino delle molte pellicole che l’hanno preceduto.
The Flash è lo strumento con cui l’agonizzante DCEU ammette la sconfitta e James Gunn, nuovo factotum dei fumetti DC al cinema, azzera gli eventi e rilancia la sfida, già presentata in forma di un rinnovato piano decennale di film. Una pellicola di passaggio, dunque, ma anche una chiusura che sa di all-in, di possibilità infinite permesse dal gran finale di un progetto mai davvero compiuto e perciò libero di dare il tutto per tutto prima di ricominciare. E così accade. The Flash è senza dubbio uno dei migliori film del DCEU, roboante, epico e al contempo famigliare, come non accadeva da tempo sotto l’egida di Batman e Superman. Il film non si salva da lungaggini, spiegoni in corsa ed effetti speciali alternati tra tripudi di colore e inquadrature poco avvincenti, ma nell’insieme risulta coeso, più solido delle prove di forza di Zack Snyder o dal gigionamento di Shazam!.
Con il pretesto narrativo di un multiverso sfogliato in ogni sua forma, The Flash affianca il velocista scarlatto a due versioni del Batman cinematografico, Ben Affleck, di casa nel DCEU, e Michael Keaton, storico uomo pipistrello protagonista dei film di Tim Burton, intrecciando omaggi al canone fumettistico e situazioni corali che riconducono anche ai film precedenti, come il ritorno di Michael Shannon nei panni del generale Zod, villain di Superman: Man of Steel.
I richiami per appassionati, ormai imprescindibili, funzionano. Michael Keaton è il Batman beffardo che conosciamo, desideroso di confermarsi miglior versione del personaggio. Ma la vicenda umana da cui scaturisce lo scontro, il desiderio di Barry Allen/Flash di riportare in vita la madre, è uno spunto sufficiente e conferma anche questo multiverso uno strumento narrativo con cui interrogare le alternative del continuum spazio-temporale di un racconto. Non condivide l’arte rivoluzionaria di Spider-Man: Across the spider-verse, ma The Flash si difende e si rivela fedele alla linea di giocattolone ad alto budget.
A differenza di Batman V Superman o dello strano progetto alla frankenstein che è stato Justice League (ne esistono due versioni, una da quattro ore su HBO), in The Flash percepiamo l’atmosfera da ritrovo tra amici che distinguono le prove Marvel più riuscite. Il film è votato all’epicità tragica che la mitologia supereroistica tende a bramare, ma non per questo i suoi protagonisti sacrificano il proprio carattere umano. Non è divertente come tenta (strenuamente) di essere, eppure fa simpatia, sentimento assente finora nel DCEU, con l’unica eccezione di Shazam!.
Uscire dopo Spider-Man: Into the Spider-Verse, il suo sequel ora al cinema e Doctor Strange nel Multiverso della follia non aiuta il film a coinvolgere per originalità, ma la doppia interpretazione di Ezra Miller nei panni di due diverse versioni del personaggio diverte e concede di valutare il buon lavoro (sul set) dell’attore. Anche la new entry Sasha Calle, nei panni di un’inedita Supergirl, si inserisce senza sbavature nel concerto di scontri e personalità supereroistiche messe in scena.
Andy Muschietti riesce nel difficile compito di dirigere un’origin story che sia anche un finale per tanti personaggi e assieme apra e giustifichi le situazioni future. Uno strano ibrido, quasi una trilogia in un solo film, risultato di ciò che l’ha preceduto eppure capace di distinguersi. Il DCEU si chiude così, non senza amarezza e con un film che rappresenta quasi tutto ciò che non è riuscito a essere.
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