‘The Father’, Hopkins magistrale nell’autunno della mente

‘The Father’, Hopkins magistrale nell’autunno della mente


Nulla è come sembra completa il titolo del film The Father e ne esprime l’essenza più intrinseca, giocando abilmente sul sottile confine dell’apparire delle cose, fattore cerebrale, o qualcosa di esterno e finemente misterioso, come d’altronde la stessa mente umana può essere. 

Un orologio, strumento che scandisce il tempo, e le foglie, anima dell’autunno stagionale, sono i poli simbolici del film di Florian Zeller, regista e già autore dell’omonima pièce teatrale da cui l’opera per il cinema è adattata: Anthony Hopkins, premio Oscar 2021 come Miglior Attore Protagonista per questo ruolo, è Anthony, nato venerdì 31 dicembre 1937 (come nella realtà l’attore, che condivide con il personaggio nome e data di nascita), un uomo di quasi 84 anni, la cui mente confonde persone care e circostanze

Anne (Olivia Colman, la figlia), è Anne. Paul (Rufus Sewell, il genero). Lucy (l’altra figlia) e Laura (Imogen Poots, la badante), Laura e Lucy: nell’universo di Anthony, solo lui sembra essere l’unica persona certa. 

Anne, cui Colman dona un’interpretazione da nodo alla gola, tanta è l’empatia per il ruolo carico di infinito amore verso l’anziano papà, è un’apprensiva e amorevole donna di mezza età, che sta per trasferirsi a Parigi con il marito, decisione che rende necessario collocare il genitore presso una struttura di riposo, essendo lui insofferente a qualsiasi persona possa curarlo in casa. Così, nelle prime sequenze, l’ipotesi dell’ospizio – che dapprima, come tutti e tutto quello che succede non abbiamo certezza se sia una personale percezione di Hopkins o la realtà dei fatti – lo scuote, lo altera, lo sconforta: “mi lasci, mi abbandoni, che ne sarà di me?”, domanda alla figlia, non meno rotta emotivamente. 

Un susseguirsi di scambi di persone e spazi: Anthony vive in un appartamento londinese, suo, o forse ospite della figlia, o – ancora – la figlia, separata, potrebbe essere ospite da lui, benché il marito, Paul, circoli ancora per la casa, ignaro che lei stia per trasferirsi a Parigi con un altro uomo. Chissà. “Tutte queste assurdità mi stano facendo impazzire … sta succedendo qualcosa di strano”, afferma e ripete il personaggio.

In questo frullatore di pezzi umani e d’ambienti s’inserisce anche Laura, possibile badante, che a Anthony ricorda Lucy, l’altra sua figlia – pittrice in giro per il mondo, dice lui – ricordando quando era bambina: la giovane Laura sembra rinviare insistentemente alla figlia assente, tanto da scatenare nell’uomo un guizzo di simpatia e charme quasi inaspettati, in una sequenza in cui Hopkins dà al suo personaggio un’ennesima sfumatura emotiva e mimica, dopo quelle della tristezza, della rabbia, della delusione, dell’incertezza, presentandosi da esilarante “seduttore”, così da raccontare a Laura d’essere stato un ballerino, con tanto di accenno di tip tap, mentre – in realtà – era ingegnere. In un apparentemente lucido discorso – dinnanzi alla figlia Anne – spiega alla donna che potrebbe prendersi cura di lui che quella è casa sua, che la figlia s’è installata lì, e mischia il racconto con i dettagli tra realtà e distorsione della mente, fino a dire che lui vivrà più di Colman, tanto da parlare del funerale di lei, per poi mandare tutti a fanculo. 

Laura rassicura Anne, comincerà ad assistere Anthony, che ascolta poi una conversazione tra la figlia e il genero, da cui apprende le parole “è malato”: l’informazione sembra confonderlo, angosciarlo, ma tace. 

La visione per lo spettatore include anche intermezzi visivi dell’appartamento vuoto, un simbolo, quando una voce nella notte lo chiama, sembra Lucy: lui si alza, la cerca, apre una porta, e così accede al corridoio, ma di un ospedale; c’è Lucy, allettata gravemente. Stacco. Hopkins si lava il viso, come a schiarirsi le idee, e di lì a breve ripete: “Non ha senso”.

Anthony, che verso l’epilogo vive certamente in una casa di riposo, mentre sua figlia è davvero partita per Parigi, lì tocca l’apice del principio della discesa dell’ultima fase della vita: l’uomo chiede della sua mamma, in un discorso in cui dice che sta “perdendo le sue foglie”, fino a piangere. Il film conclude con un’inquadratura, palesemente metaforica, sulle foglie di un albero.

The Father è un’opera dalla profonda componente emotiva, sentimento cui, sia Hopkins che Colman, contribuiscono magistralmente nel restituire le sfaccettature più sofisticate, con la perfetta musica di Ludovico Einaudi ad accompagnare l’intera storia per mano. 

Il film è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2020: distribuito in Italia da BIM, in sala dal 20 maggio in lingua originale, dal 27 in italiano. 

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12 Maggio 2021

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