Donne americane con soldi e uomini inglesi con potere. L’incontro tra l’opulenza e lo status quo. Il matrimonio perfetto tra modernità e tradizione. O meglio i matrimoni. Dopo essere diventato un piccolo fenomeno tra gli appassionati del period drama, la prima stagione di The Buccaneers, serie originale di Apple TV+, volge al termine e lo fa lasciando il segno.
Accolta come la risposta di casa Apple a Bridgerton, la serie tratta dall’omonimo romanzo incompiuto di Edith Wharton si è rivelata con il tempo qualcosa di abbastanza diverso. Assimilabile è la scelta di utilizzare un cast multietnico fuori da un contesto realistico, ma mentre in Bridgerton questa scelta è spinta allo stremo fino al distopico, qui è fatta per seguire un gusto squisitamente anacronistico, in cui il messaggio di fondo ha la priorità rispetto alla fedeltà storica. D’altro canto il concept di The Buccaneers è molto più ficcante e si basa sull’idea di uno scontro tra culture: un gruppo di cinque ricche (o meglio arricchite) giovani donne americane che, negli anni ’70 del XIX secolo, viaggiano oltreoceano attratte dal fascino sempiterno dell’altissima nobiltà inglese. Amori a prima vista e passioni romantiche in perfetto stile vittoriano si fondono a messaggi femministi di stampo contemporaneo. La modernità urlante e sguaiata delle statunitensi dovrà vedersela con la retrograda visione del mondo britannica che le vorrebbe quiete e silenziose. D’altronde, l’istituzione viene prima di ogni cosa, anche del diritto di autodeterminarsi di una donna.
Nei panni della protagonista Nan troviamo Kristine Frøseth, già protagonista della serie Netflix The Society. A differenza della sua ambiziosa sorella Jinny, sembra essere la meno interessata a un matrimonio prestigioso, ma prestissimo si troverà stretta in un imprevisto quanto intenso triangolo amoroso, che resterà in piedi per tutta la prima stagione (e anche oltre). Al contempo dovrà affrontare la vergogna di un segreto di cui neanche lei era a conoscenza: ovvero il fatto di essere una figlia illegittima, nata fuori dal matrimonio. La sua condizione psicologica, di persona stretta tra più forze, costretta all’umiliazione e al senso di colpa è solo una dei tanti esempi di violenza di genere messi in scena nella serie, raccontati tutti con un punto di vista moderno e propositivo (con buona pace, ancora una volta, per la verosimiglianza storica).
“Ho pensato continuamente a quanto fossi fortunata a vivere in un periodo storico in cui posso andare in terapia ed esprimere i miei sentimenti. – dichiara Kristine Frøseth – Ci sono ancora persone che pensano che queste cose siano da pazzi o inappropriate, ma stiamo molto crescendo in questo senso. Ho empatizzato molto con Nan e ho condiviso molto le sue scelte, le sue reazioni e le sue emozioni, come ad esempio la vergogna. Sa che dovrebbe parlarne con qualcuno, ma non ne ha l’opportunità. Moltissimi dei suoi problemi sarebbero stati risolti se avesse avuto uno spazio sicuro. Credo sia importante guardare indietro e capire se siamo cresciuti o no”.
La storyline di Nan toccherà un apice climatico molto intenso nell’ultimo episodio della serie – atteso per il 13 dicembre – quello incentrato sul suo matrimonio. La giovane donna, sarà chiamata a fare una scelta forte, quasi eroica, con un puro istinto di sorellanza nei confronti delle persone che più ama. Il tutto con un rilancio efficace per una seconda stagione che probabilmente verrà confermata a breve. “La serie parla di amicizia tra le donne e rispetto per se stesse. – aggiunge l’attrice – Il modo in cui Nan si sacrifica è davvero un grande peccato, perché lei non ha possibilità di scelta, come le abbiamo noi ora. Rispetto molto la sua scelta”.
Mentre la prima stagione si chiude con il matrimonio di Nan, si era aperta con quello di Conchita, uno dei personaggi cruciali di tutta la serie. A interpretarla è uno dei volti più noti di The Buccaneers: Alisha Boe, celebre per avere interpretato uno dei ruoli principali della serie teen cult 13. Il personaggio di Conchita è quello da cui partono tutti gli eventi. Il suo amore per Lord Richard e la loro scelta di creare una famiglia in Inghilterra sarà motivo di conflitto per tutta la stagione. In lei, a causa anche del colore della sua pelle, s’incarnano tutte le contraddizioni dell’antico paese che le ospita: aperto alla ricchezza della sua famiglia, meno alle differenze culturali.
“Parliamo di donne molto fortunate e privilegiate, è il miglior scenario possibile. – spiega Alisha Boe – Uno dei migliori modi per connettersi con le donne della storia è indossare un costume, perché è così simbolico del fatto di quanto fossero costrette le donne nei loro ruoli. Quante regole dovessero rispettare, quanto fossero soffocanti quei corsetti. Essere donna a quei tempi era soffocante: il tuo valore era misurato dal tuo matrimonio, dal tuo status, da quello che potevi offrire. Gli uomini dicevano: mi piace quella perché è americana, è ricca ed è pure abbastanza carina. È triste e spaventoso, ma è bello potere tornare indietro e mostrare quanto le donne avessero emozioni complesse e sentimenti, qualcosa di più di essere solo belle per chi le vedeva”.
La direzione professata è chiara e va a favore di un processo di liberazione femminile simbolicamente rappresentato dalle scelte amorose e di vita delle cinque giovani donne protagoniste, ognuna chiamata ad affrontare un proprio demone. Con le sue ambientazioni da sogno, i suoi costumi sfarzosi e la sua musica pop contemporanea, The Buccaneers è un prodotto postmoderno che parla ad alta voce al suo pubblico di riferimento, con la consapevolezza che verrà ascoltato ancora a lungo.
“Spesso i period drama sono visti come inaccessibili per i più giovani. – conclude Boe – Ma aldilà dei costumi e dei castelli, i temi che esploriamo sono molto caldi per loro: si parla di amore, delusioni e amicizia. La serie ti attira anche perché è molto bella da vedere. C’è bellezza con il dolore”.
In onda dal 17 novembre su Fox Nation. Il regista, 81enne, è anche voce narrante degli episodi che racconteranno le gesta di San Giovanni Battista, San Sebastiano, Giovanna d’Arco, Padre Massimiliano Kolbe e molti altri
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