“Durante le riprese di The bank ho letto No logo di Naomi Klein. Poi lei ha visto il film e mi ha detto che cattura perfettamente il cuore del libro”.
Nel 1999 Robert Connolly, 34enne di Sidney, era citato da “Variety” come uno dei dieci giovani produttori emergenti. E ora l’esordio alla regia con The bank – thriller no global sul sistema bancario coprodotto dalla Fandango di Domenico Procacci e dalla Arena Film di John Maynard – dimostra il suo talento anche come filmaker.
“Il mio è un film contro le banche che in Australia sono il nemico pubblico numero uno – dice Connolly – Ovviamente parla anche di globalizzazione: un tema di grande rilevanza in un momento in cui gli amministratori delegati sono diventati più potenti dei leader politici. Non credo affatto che sia un’esagerazione parlare di feudalesimo capitalista”.
E gli australiani gli danno ragione: la pellicola ha incassato infatti l’equivalente di 2 miliardi e mezzo di lire, un risultato eccellente in un paese di 18 milioni di abitanti che fa ben sperare anche per l’uscita italiana in programma il 15 febbraio.
Il suo è un mix tra “un film politico privo di prediche e un thriller commerciale”. Non a caso tra i suoi riferimenti ci sono “Traffic di Steven Soderbergh e Insider di Michael Mann”. Ma anche Wall Street di Oliver Stone mi ha molto influenzato – rivela il regista – È un ritratto perfetto degli anni ’80, mentre con The Bank ho voluto metter in scena l’attuale strapotere delle corporation economiche”.
E The bank conferma anche il debole di Domenico Procacci per il cinema della terra dei canguri.
Dal 1993 a oggi ha infatti coprodotto ben 7 film di autori australiani, tra cui Bud Boy Bubby di Rolf de Heer e i più recenti La maschera di scimmia di Samantha Lang e E morì con un felafel in mano di Richard Lowenstein (leggi l’intervista di Cinemazip).
Un impegno che deve molto all’incontro con John Maynard, il produttore indipendente che ha lanciato Jane Campion. “E’ una figura scomoda per la sua originalità. L’ho conosciuto nel 1992 e mi ha presentato Robert Connolly. Insieme all’attore David Wenham (che in The bank interpreta un geniale matematico alla ricerca di una formula in grado di predire i movimenti del mercato azionistico, ndr) formano una comunità produttiva che ammiro molto” dice il creatore della Fandango.
“The Bank è la classica storia del conflitto tra Davide e Golia. –aggiunge Procacci – trovo affascinante che il sistema di speculazione delle banche, una grande architettura fatta di numeri e denaro, possa crollare grazie al fattore umano”.
Del film colpisce anche lo stile visuale frutto, racconta Connolly, di una ricerca d’equipe: “Il plot principale dell’ambiente bancario è girato in modo molto diverso dalla sottotrama in cui vediamo una famiglia rovinata dalla Centabank. I colori della prima parte sono molto freddi e metallici, quelli della seconda più caldi. Un contrasto che si risolve solo nel finale”.
Poco convenzionale è anche il destino del cattivo di turno, lo spietato speculatore Simon O’Reilly, interpretato da un ottimo Anthony La Paglia: “Noi australiani siamo piuttosto cinici: crediamo che i malvagi alla fine riescano a farla franca” spiega il regista.
Gli fa eco Procacci: “Questo è uno dei motivi per cui amo lavorare con gli australiani: nei film americani il lieto fine avrebbe imposto la punizione dell’antieroe. In The bank è tutto molto più ambiguo”.
E non stupisce che dopo una pellicola di questo tipo, Connolly abbia qualche problema con le banche: “In effetti in questo momento ho grosse difficoltà ad ottenere un prestito per l’acquisto di una casa”.
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