Terry Gilliam: “Hollywood addormenta l’immaginazione”


TAORMINA – C’è anche Tea Falco, la giovane interprete catanese scoperta da Bernardo Bertolucci per Io e te, ad ascoltare la lezione di Terry Gilliam al Taormina FilmFest. Una lezione seguita da una vera folla di giovani e appassionati cinefili che hanno applaudito le mitiche immagini del regista di Minneapolis, ex Monty Python. L’ultimo suo film, con l’eccezione di un cortometraggio girato a Napoli, data al 2009, quando portò a Cannes Parnassus, opera quanto mai visionaria e purtroppo funestata dalla morte di Heath Ledger. Adesso, dopo la regia lirica della Dannazione di Faust di Berlioz, ha per casa una pugno di script, tra cui Good Omens, romanzo parodistico sull’apocalissi, Mister Vertigo dal libro di Paul Auster e, naturalmente, l’impossibile ma irrinunciabile Don Chisciotte. A Taormina ha ricevuto l’Art Award e il Premio Cubo Vision, presto sarà a Ischia per una nuova celebrazione. Da quando vive parte dell’anno in Umbria – ma senza parlare più di quattro parole di italiano – i nostri festival italiani se lo contendono.

Insomma, Mr. Gilliam, qual è il suo prossimo progetto?
È una domanda pericolosa, perché appena ne parlo evapora. Diciamo che ci sono varie sceneggiature in giro per casa in attesa che qualcuno le salvi.

Come ha iniziato a inventare mondi paralleli come quelli che abbiamo ammirato nel “Barone di Munchausen” o in “Brazil”?
Avevo 8 anni e già disegnavo altri mondi e strane creature. Mi piaceva prendere oggetti comuni, come un elettrodomestico, e trasformarli in nuove visioni. Mi piace cambiare la realtà. Ho capito subito che le persone si entusiasmano più coi disegni che con le parole.

 

La sua visione nasce dall’infanzia, da qualche brutta avventura?
Ho avuto un’infanzia felice. Dopo l’università sono andato a New York per complicarmi la vita da solo perché non ero nero né handicappato. La tragedia più grande della mia esistenza è stata la morte di Heath Ledger, che era un grande amico. Non ho avuto nessun problema e quindi non ho avuto paura di guardare in faccia il dolore e le cose che non vanno.

L’immaginazione può anche turbare, diventare incubo.
E’ vero, in Germania durante la seconda guerra mondiale c’era un uomo con moltissima immaginazione che è impazzito. L’immaginazione di per sé non è né buona né cattiva. Però nel cinema contemporaneo ce n’è poca, vedo sempre le stesse immagini. Un uomo che corre prima di un’esplosione, un elicottero sopra Manhattan. Io cerco sempre cose nuove per divertire il mio pubblico e me stesso.

Spesso la fantascienza è profetica e le favole dicono qualcosa di più vero del vero.
I miei film colgono immagini che sono nell’aria, come la chirurgia plastica in Brazil, nell’85 non era ancora così diffusa ma era già una mostruosità. Nella Leggenda del re pescatore ho fatto ballare il valzer nella Grand Central Station, dall’anno seguente hanno messo un’orchestra e tutti gli anni si balla. In Parnassus quando Johnny Depp parla delle persone che non invecchiano mai perché muoiono giovani, sembra presagire la morte di Heath Ledger. Il cinema è sempre un po’ profetico.

Il computer ha rivoluzionato la sua concezione?
È importante per me che il pubblico lavori quanto il creatore, mentre nei film di adesso tutto il lavoro viene preconfezionato sullo schermo. Col computer si può fare qualsiasi cosa, ma come si fa a mantenere un senso di realtà? La CGI sostituisce troppo la fantasia. In Parnassus ho lavorato solo col computer come un pittore che esplora il mondo e i critici hanno detto che avevo fatto un cattivo uso del computer, ma non hanno capito che cercavo anche questa imperfezione, il contrario di Avatar che non è un film, perché secondo me è animazione. Altre volte, come in Paura e delirio a Las Vegas, hanno detto che mi ero fatto un acido, ma non è così. Anzi, ho cercato di restare fedele al libro.

Lei parla di immaginazione come di qualcosa di superiore alla fantasia e al fantasy.
La fantasia lascia indietro la realtà io cerco di ri-immaginare la realtà senza negarla. È una battaglia. Ho sempre cercato di combattere la visione del mondo inquinata dai media. La fantasia ha questo slancio verso qualcosa di naif, di infantile, e si usa per scappare dalla vita quotidiana. Ma questo non riflette la nostra esperienza quotidiana di vivere in un mondo dominato dalla paura e dalla pubblicità, intrappolati in un labirinto di cose da comprare. Questa realtà io non voglio negarla, ma anzi mostrarla pienamente.

Come è nata l’avventura dei Monty Python?
Ci siamo incontrati mentre io ero a New York e facevo il disegnatore di fumetti. Abbiamo cominciato in tv, con la BBC che ci lasciava la massima libertà anche di essere irriverenti sulla religione. Lo show ha avuto tanto successo che ci hanno proposto di fare un film. Bei tempi, ma adesso non siamo più le stesse persone. Siamo vecchi, intrappolati negli alimenti da pagare alle nostre ex mogli.

Pensa di tornare presto alla sua ossessione, ovvero Don Chisciotte?
È un personaggio molto difficile. Cervantes scrive in modo così straordinario che è pericoloso farne un film. Forse più avanti coglierò questo sfida, ma non ora. Credo che in Don Chisciotte sia già contenuto tutto. Amo Cervantes come amo Philip K. Dick e penso che Blade Runner sia un film bellissimo con un finale schifoso. Penso che gli androidi dovrebbero vivere per sempre. In Brazil ho voluto dare il vero finale a Blade Runner e ci ho messo anche 1984 di Orwell anche se l’ho letto solo dopo aver girato il film, ma mi sembrava di conoscerlo.

Doveva dirigere il primo Harry Potter, ma poi è stato sostituito da Chris Columbus.
I produttori pensavano che fossi la persona migliore per farlo. Ma Hollywood vuole registi che può controllare. Comunque sono stato a Los Angeles per incontrare quelli degli studios e il boss si è addormentato durante la riunione. Forse perché Hollywood vuole far addormentare le nostre menti.

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25 Giugno 2012

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