Teresa Saponangelo: pittrice ribelle


OssidianaToni Servillo? Gli devo il mio premio più bello e importante, il Premio Ubu, che ho vinto grazie al ‘Tartufo’ di Molière diretto da lui. Da anni Toni fa un lavoro di enorme rigore su se stesso e adesso tutto questo è perfettamente leggibile nella sua recitazione”. A parlare del protagonista assoluto di Cannes 2008, è Teresa Saponangelo, la giovane attrice adottata dalla comunità artistica di Napoli (è nata a Taranto) per la sua fisicità tenera ma a volte sfacciata, per la parlata diretta, per la femminilità non riconciliata e ribelle. A teatro ha lavorato con Servillo e Martone, al cinema con Capuano e Incerti. Tra i suoi impegni più recenti il ritratto, impeccabile, della pittrice partenopea Maria Palliggiano, artista provocatoria e inquieta, vicina alle avanguardie degli anni ’60 ma anche isolata, forse per propria volontà, forse per il complicato rapporto con Emilio Notte, il professore dell’Accademia molto più anziano di lei da cui ebbe un figlio e che poi sposò, quando lui rimase vedovo, restando in qualche modo intrappolata nell’ombra di quella figura paterna e sottilmente autoritaria. Morì suicida, dopo ricoveri in ospedali psichiatrici, nel 1969, a soli 36 anni. Ora un film, Ossidiana, la riporta alla ribalta: l’autrice, Silvana Maja, si dedica da anni a questa figura, su cui ha scritto anche un libro dopo averla scoperta in una retrospettiva organizzata proprio a Napoli alla fine degli anni ’90. Ma la vicenda del film è stata tormentata quanto la biografia di Maria Palliggiano: ottenuto il contributo ministeriale per le opere prime già nel 2003, Ossidiana è rimasto bloccato a lungo per l’esaurimento delle risorse al ministero, poi sbloccate anche grazie all’impegno del movimento 16/12. Ora la Thule di Silvana Leonardi potrebbe finalmente portarlo in sala, dopo l’applaudita anteprima al RIFF. Nel cast anche Renato Carpentieri (Emilio Notte), Vincenza Modica (la madre) e Andrea Renzi (l’artista americano).

Che tipo di pittrice era Maria Palliggiano?
Giancarlo Savino, il consulente artistico del film, mi ha aiutato a lavorare sulle tecniche pittoriche e sui gesti, che esprimevano il tormento o i brevi momenti di serenità, ad esempio quando Maria era incinta e viveva da sola in campagna. I suoi lavori sono forti, carnali e tormentati. Avrei voluto tanto che suo figlio, che è diventato un critico d’arte e che ancora è restio a parlare della madre, mi regalasse un suo quadro.

OssidianaÈ vero che ha scoperto di essere incinta mentre girava “Ossidiana”?
Sì, ed è stato strano sovrapporre la pancia finta del personaggio alla mia pancia vera che stava crescendo. Adesso il mio bambino ha 16 mesi e si chiama Luciano Emmer, come suo nonno.

Il film mostra chiaramente il rapporto ambivalente di Maria con la maternità. Si sente inadeguata o meglio è la società dell’epoca che la fa sentire così.
Non credo che avesse un forte desiderio di maternità, era combattuta tra l’essere madre e la sua ambizione artistica ed era piena di sensi di colpa. Desiderava uscire dai canoni ma poi era costretta a ripiombarci, perché non aveva abbastanza forza per ribellarsi.

Vedendo “Ossidiana” ho pensato ai film di Alina Marazzi e alle contraddizioni vissute dalle donne negli anni ’60 tra la spinta alla liberazione e i forti condizionamenti a cui erano soggette: una lotta interiore che poteva condurre in qualche caso all’autodistruzione.
Ho lavorato con Alina per Vogliamo anche le rose, prestando la voce al personaggio di Teresa, la ragazza meridionale che rimane incinta ed è costretta a praticare un aborto clandestino. È una generazione che vuole muoversi, che comincia a pensare alla politica e che paga le conseguenze delle sue scelte. Questo succede anche oggi, ma forse è meno difficile. Anche se ci sono colleghe che rinunciano alla maternità per dedicarsi alla realizzazione professionale e poi arrivano a rimpiangerlo: il lavoro da solo non riesce a riempirti emotivamente.

Lei ha appena debuttato a teatro con “Il mondo deve sapere. Diario di una telefonista precaria”, ispirato al romanzo di Michela Murgia che ha dato spunto anche al film di Paolo Virzì, “Tutta la vita davanti”.
Sì, nel film di Virzì tra l’altro ho un piccolo ruolo, faccio una parodia del call center a teatro durante una serata organizzata dal sindacalista Valerio Mastandrea. Paolo, con cui avevo già lavorato in Ferie d’agosto, mi ha chiamato perché sapeva che avrei portato il testo di Michela Murgia a teatro, ovviamente avevo comprato i diritti molto prima, e così mi ha chiesto di fare questa piccola parodia.

In che modo affrontate il tema del lavoro precario nello spettacolo, che ha la regia di David Emmer?
Mentre la protagonista di Virzì è laureata e ha il tono distaccato e lo sguardo critico di chi sa in fin dei conti di avere altre prospettive, la mia telefonista è una ragazza qualsiasi che vive di lavoretti. A teatro funziona di più l’immedesimazione, il far entrare lo spettatore nella situazione. Con me in scena ci sono Fortunato Cerlino, nel doppio ruolo del capo e del venditore di aspirapolvere Kirby, e Carmine Borrino, un altro venditore, più aggressivo e determinato. Mentre il film ha una cifra leggera, a teatro c’è un finale nero.

Con David Emmer avete creato una società di produzione, la Tournesol.
Abbiamo prodotto lo spettacolo e stiamo lavorando a un cortometraggio, Il figlio maschio, che toccherà il tema, tutto italiano, della morbosità delle madri per i maschi e del rifiuto verso le figlie femmine. È una materia che non riguarda solo il Sud e che ha spunti comici ma anche serissimi, perché questo sentimento fa danni enormi, è molto castrante. Anzi, mi sembra strano che nessuno l’abbia affrontato finora.

autore
24 Aprile 2008

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