VENEZIA – “Certo, sono rimasto molto colpito di ricevere questo premio, il Leone d’Oro alla carriera, da un paese che ha avuto Rossellini, Fellini, Risi e il mio grande amico Monicelli, con cui sono stato 5 giorni sul set Amici miei. Tutta gente che ho conosciuto e molto amato”. A parlare è Bertrand Tavernier, che ha ricevuto il massimo premio alla carriera della Mostra.
“Non lo so che posizione ho nel cinema francese. Trascorro talmente tanto tempo a fare film che non ho tempo per pensarci, anzi, me ne frego altamente. Vado fiero, però, che nella mia carriera ho fatto solo i film che volevo fare, e li ho fatti liberamente”. dice ancora il regista. Al Lido è stato proiettato uno dei suoi capolavori La vie et rien d’autre, del 1989. “A 13 anni, quando decisi di voler fare lo sceneggiatore, non pensavo che avrei avuto questa vita straordinaria. Lascerò ad altri definire la mia posizione – aggiunge il regista – ho vinto 4 Cesar, un Delluc, un Grand Prix cinema europeo, non posso dire di non essere stato apprezzato in Francia, non posso lamentarmi”.
E Tavernier ringrazia Jean-Pierre Melville e Claude Sautet, “sono loro ad aver chiesto ai miei genitori di lasciarmi fare del cinema”. Non manca un pensiero per il suo attore feticcio, Philippe Noiret: “Grazie a lui faccio del cinema. Era un signore, un gentleman, con cui io mi sono moltissimo, pazzamente divertito. Aveva un concetto del proprio mestiere fortissimo, era un lavoratore formidabile, con una delicatezza eccezionale”. Infine, uno sguardo sulla sua Lione, città natale che condivide con i Lumière: “Sono provinciale e ne sono felice: non mi sento parigino, ho ereditato virtù e difetti di Lione, per questo mi ci son voluti 45 anni per osare parlare di me. A Lione non si risponde a certe domande, esistono pudore, fedeltà, amicizia”.
Sono stati il direttore del Festival di Cannes Thierry Frémaux e Sabine Azéma, interprete tra l’altro di La vie et rien d’autre, insieme al presidente della Biennale Paolo Baratta e al direttore della Mostra Alberto Barbera, a rendergli omaggio in Sala Grande. Il regista ha ringraziato, fra gli altri, “Dio per aver creato il festival di Venezia, o almeno avergli dato il permesso di esistere”, “mio padre per avermi insegnato il senso della storia e a saper ammirare”, “Philippe Noiret, che per me è stato come un fratello”, e “mia moglie Sara. E’ difficile vivere con un regista e lei mi ha sempre sostenuto”.
Sabine Azéma, arrivata dal set in Provenza di Cezanne et moi, dove interpreta la mamma del pittore, ha raccontato due divertenti aneddoti sull’amicizia e il lavoro con Tavernier, di cui uno legato a La vie et rien d’autre. “Era un film doloroso, duro, difficile – ha detto l’attrice – ma Bertrand alla fine di ogni giorno di lavoro arrivava con grandi borse piene di leccornie. E’ un uomo goloso della vita, della cultura del cinema, lo voglio ringraziare per la gioia di vivere che trasmette”.
“La vie et rien d’autre è un film che non avrei mai potuto fare se Sabine e Philippe non avessero messo in compartecipazione parte del cachet – ha sottolineato Tavernier – è stata l’unica volta in cui il capo di una multinazionale dell’audiovisivo mi ha offerto un assegno per non fare un film”.
Frémaux, che è anche direttore dell’Istituto Lumière di Lione, del quale Tavernier è presidente, collabora con il cineasta da 30 anni: “Ero ancora studente e alla presentazione dell’Istituto gli chiesi di lavorare con lui; da allora non ci siamo più lasciati”, ha detto, ringraziandolo anche “per i cineasti, gli attori, le canzoni che mi ha fatto scoprire, per la sua libertà di spirito”.
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