Tatanka, da Gomorra alle Olimpiadi


Se Jake La Motta fosse nato a Marcianise, sarebbe Tatanka. Il termine significa ‘bisonte’, e oggi indica almeno tre cose. E’ il titolo del film di Giuseppe Gagliardi, in uscita il 6 maggio con Bolero, che dimostra di credere molto nel potenziale della pellicola al box office, distribuendolo in ben 189 copie. E’ il soprannome del pugile Clemente Russo, campione del mondo dilettanti a Chicago nel 2007 e vicecampione olimpico a Pechino nel 2008, che interpreta il film in maniera sorprendentemente convincente. E’ infine anche il soprannome del personaggio di Russo nel film, pugile come lui, ma si chiama Michele e ancor più di lui soffre la condizione di prigioniero più o meno consapevole dei feudi della camorra, in una terra dilaniata da una guerra cruenta. Ma grazie all’incontro con la boxe riesce a sfuggire a un destino tragico quasi certo, ad emanciparsi e a trovare se stesso. Tra i motivi di interesse della pellicola c’è inoltre quello di essere la seconda, dopo Gomorra, e essere tratta da uno scritto di Roberto Saviano, in questo caso il racconto ‘La bellezza e l’Inferno’, pubblicato da Mondadori in un’omonima raccolta. E si tratta, infine, di un buon film di genere, merce ormai rara nel panorama italiano.

“Ho visto Toro scatenato un centinaio di volte – ammette il regista, al suo secondo film dopo La vera leggenda di Tony Vilar – e anche The Fighter, che ho apprezzato anche se non lo considero uno dei miei film preferiti. Lavorare con i pugili è interessante, per via della disciplina estrema a cui sono abituati: per Clemente anche 12 ore di set in piena notte sotto l’acqua erano una passeggiata. Ha la scorza”. Ma anche un po’ di talento. La sua prova attoriale, sebbene non priva di spigolature, ha convinto tutti, anche quelli che si ricordano i disastrosi precedenti di sportivi improvvisatisi attori, come l’involontariamente comico Alberto Tomba in Alex l’ariete.

“Mi sono limitato a fare me stesso – racconta l’atleta candidamente – bene o male noi pugili siamo tutti uguali, dato che mangiamo pane e boxe dalla mattina alla sera. Ho solo dovuto lavorare un po’ sul carattere: io sono allegro ed egocentrico, Michele è cupo e introverso. Il merito è del regista e dei montatori, e anche degli sceneggiatori che mi hanno fatto incontrare un po’ prima delle riprese i veri attori del film, tra cui Giorgio Colangeli“. “Posso vantarmi di aver schiaffeggiato Russo ed essere sopravvissuto – scherza Colangeli che nel film ha il ruolo di un allenatore – ma ovviamente sulla boxe non avevo nulla da insegnargli. Mentre, come attore, gli ho fatto davvero un po’ da mentore”. “Il paradosso dei film di boxe – osserva Stefano Sardo che ha sceneggiato assieme a Gagliardi, Maurizio Braucci, Massimo Gaudioso e Salvatore Sansone – è che di solito c’è un attore che non sa boxare e tutti dicono che è un campione. Qui è il contrario: abbiamo un vero campione del mondo che però nel film deve ancora crescere tecnicamente”.

“Avere un campione sul set è stato divertente – aggiunge Gagliardo – abbiamo fatto dei veri incontri e il suono dei pugni che si sente in cuffia è autentico. E poi Clemente mi ha convinto fin dai primi provini”. “Non posso dire che fare l’attore è più bello che fare il pugile – risponde ironico Russo – altrimenti Francesco Damiani, direttore tecnico delle Nazionali, si arrabbia. Ma, battute a parte, nasco pugile e voglio continuare a esserlo, ho ancora molti obiettivi da raggiungere. Il prossimo è la finale del WSB, titolo del mondo semiprofessionale che, se va bene, mi permetterà di classificarmi subito per le Olimpiadi di Londra. Faccio il possibile per promuovere questo film, ma davvero sono molto impegnato. Non posso sgarrare. Anche adesso, uscito di qui, correrò ad allenarmi”. Il film è interpretato, tra gli altri, anche da Carmine Recano e dal cantante Raiz, che ha il ruolo di un camorrista. Da segnalare poi la prova dei giovani Lorenzo Scialla, Vincenzo Pane e Luisa di Natale, che sostengono la mezz’ora iniziale con una rilevante interpretazione dei protagonisti da giovani.

 

Proprio in questa porzione di storia ha luogo una selle scene più scioccanti, sottolineata dalla sulfurea fotografia di Michele Paradisi. Si tratta di un violento interrogatorio da parte della Polizia a un ragazzo innocente, che finisce in tragedia. La sequenza ha provocato non pochi grattacapi allo stesso Russo, che era impiegato nelle Fiamme Oro, corpo sportivo della polizia di Stato. “Abbiamo mandato la sceneggiatura a chi di dovere per visionarla – spiega – ma l’approvazione non arrivava e noi eravamo agli sgoccioli. Solo pochi giorni prima di iniziare ci hanno chiesto di eliminare delle scene, ma quella, ormai, proprio non si poteva, perché avrebbe significato stravolgere il film. Ho rischiato l’articolo 7, la deplorazione, ovvero l’estromissione definitiva. Ma poi, per i miei meriti sportivi, mi hanno concesso un articolo 6, ovvero una sospensione con sei mesi di lavoro non stipendiato”.

 

“D’altro canto  -commenta il regista – si basa su fatti reali. Nel racconto di Saviano non c’era, ma il fatto è accaduto davvero, in Sicilia. Ne parla anche Adriano Sofri in ‘La notte che Pinelli’. A noi serviva per raccontare il contesto da cui partono i nostri ragazzi. Un contesto dove tirare pugni non vuol dire solo combattere, ma crearsi un’alternativa. Là, dove le palestre sono fatiscenti e le porte divelte, il regno della boxe è ancora pulito, puro, incompatibile con il sistema della corruzione. Noi abbiamo leggermente modificato la storia per renderla drammatica, abbiamo sfaccettato maggiormente i personaggi, ma Saviano ha visto e apprezzato, dichiarando convinto che lo spirito della sua storia era rimasto intatto”.

Tatanka è prodotto da Rai Cinema, Margherita Film e Minerva Film ed è stato riconosciuto film di interesse culturale nazionale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

autore
04 Maggio 2011

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