“Dio creò la terra in sette giorni. L’uomo distrusse l’Afghanistan e l’Iran in sei.” Talking with Rivers è il racconto di questi sei giorni, sparsi nella Storia a partire dal 1747, l’anno in cui Iran e Afghanistan si separarono dando vita a due nazioni diverse. Il documentario diretto da Mohsen Makhmalbaf, regista iraniano che ha speso tutta la sua carriera a raccontare le sofferenze del popolo fraterno degli afgani, è stato presentato in anteprima mondiale al Sole Luna Doc Film Festival di Palermo. L’autore, insieme alla moglie Marziyeh Meshkiny, anch’essa regista, ha incontrato il numeroso pubblico presente al Chiostro Sant’Anna della Galleria d’Arte Moderna.
“C’erano 700mila bambini afgani in Iran a cui era impedito di frequentare la scuola – spiega il regista parlando dell’inizio della sua carriera negli anni 80 – ho iniziato a fare film perché provavo pena per quei bambini, per gettare un po’ di luce nell’oscurità. Io e la mia famiglia abbiamo realizzato 10 film in 35 anni dedicati al popolo afgano in Afghanistan o in Iran. Abbiamo parlato dei più diversi argomenti: dalla condizione femminile, all’educazione dei bambini, passando per la violenza della guerra. Ci sono state quattro diverse fasi nella storia contemporanea: l’invasione sovietica, la guerra civile, il governo dei talebani e l’attacco degli statunitensi. Ora siamo nella quinta fase: il ritorno dei talebani”.
Talking with Rivers mette in scena una conversazione tra l’Afganistan e l’Iran, rappresentati da un uomo che parla con un fiume. I due Stati si definiscono fin da subito fratelli ingiustamente divisi che hanno vissuto tre secoli di oppressione, guerre e dolore. Il film è sostanzialmente un collage di alcune delle scene più intense della filmografia di Makhmalbaf, capaci di raccontare tutte le fasi cruciali della storia dei due paesi, fino ad arrivare alle drammatiche condizioni attuali, in cui le libertà individuali, la violenza di genere, e il fanatismo sono tornati con tutta la loro drammaticità. Chi non ricorda le terribili immagini – qui riproposte – girate nel 2021, con migliaia di afgani che provavano a scappare dal paese, molti dei quali aggrappandosi alle ruote degli aerei per poi precipitare nel vuoto?
“Era impossibile raccontare gli ultimi 45 anni di storia in un solo film, allora ho pensato di riunire tutto il lavoro fatto da me e la mia famiglia per dare un quadro d’insieme. Tutti i miei film stanno a metà tra la fiction e il documentario, è difficile classificarli in una o nell’altra categoria”. Lo stile usato dal regista, infatti, è molto evocativo, fondendo immagini e persone reali con simbologie e sottotesti. La crudezza di alcune situazioni viene smorzata dalla sensibilità poetica dell’autore dall’empatia nei confronti dei suoi, spesso disgraziati, personaggi. “La violenza in Afghanistan avviene ogni giorno, l’unico modo che abbiamo per combatterla e mostrarla”: afferma l’autore.
Nell’incontro con il pubblico non sono mancati riferimenti alla situazione politica globale. Come il parallelismo tra l’invasione sovietica in Afghanistan e quella in Ucraina, con “risultati disastrosi” per entrambe le popolazioni, non solo nel presente, ma anche nel futuro. Non mancano le critiche anche agli americani: “il loro unico interesse sono le armi nucleari. Ma noi vogliamo libertà e democrazia. È come se ci fosse un uomo armato di coltello: loro vogliono togliergli il coltello, noi vogliamo rimpiazzare l’uomo”.
Talking with Rivers è un film impregnato del sangue e delle sofferenze di due popolazioni afflitte dallo stesso destino e, al tempo stesso, è una buona occasione per scoprire in appena 50 minuti l’estro artistico di uno dei più importanti registi iraniani di sempre, costretto all’esilio da ormai tanti anni. Fondamentale è non lasciarsi andare alla disperazione. La speranza più grande è data dai movimenti di protesta che stanno scuotendo l’Iran negli ultimi mesi, augurandosi che possano continuare a crescere, ampliarsi oltre il confine e raggiungere l’Afghanistan. Lì, dove le sorelle e i fratelli afgani lottano ancor di più per la propria libertà.
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