Susanna Nicchiarelli: “Chiara e le sue sorelle”

La Chiara di Susanna Nicchiarelli - che completa una trilogia "involontaria" sulle figure femminili fuori dalle regole - ha un sottotesto femminista che richiama all'urgenza di una sorellanza


VENEZIA – Se il primo Francesco di Liliana Cavani (1966) era imbevuto dello spirito giovane e ribelle che di lì a poco sarebbe sfociato nella protesta del Sessantotto, la Chiara di Susanna Nicchiarelli – film che completa una trilogia “involontaria” sulle figure femminili fuori dalle regole – ha un sottotesto femminista che richiama all’urgenza di una sorellanza universale. Un sentimento che viene addirittura sublimato nella scena finale, con quella moltiplicazione del pane che prelude a un’eucarestia tra sole donne (mentre gli strumenti del maschile sono quelli del potere incarnato dal Papa Gregorio IX / Luigi Lo Cascio, che vuole riportare Chiara e le sue seguaci al buio dei monasteri e della clausura, e intanto mangia avidamente il cibo cucinato dalle monache). Chiara aveva 18 anni quando lasciò tutto per seguire le orme di Francesco, era una teenager animata da una forza incredibile, capace di resistere al padre che la voleva riportare a casa con la forza, capace di digiunare e camminare scalza sulla neve. Nicchiarelli la osserva dal punto di vista laico – mette in scena i suoi miracoli ma sempre con un margine di scetticismo che è la stessa Chiara a verbalizzare – e la rende ancor più terrena inventando una lingua volgare che è la lingua del Medioevo ma anche dialetto umbro. Chiara è una ragazza che vuole andare nel mondo, per predicare e testimoniare, per seguire Gesù e vivere come lui, rinunciando a tutto e stando dalla parte dei poveri, dei lebbrosi, di altre donne, maltrattate e perseguitate.

Il film, in concorso a Venezia 79 e in sala con 01, è dedicato a un’altra Chiara, Chiara Frugoni, la grande studiosa del Medioevo scomparsa quest’anno. Come sempre nel cinema di Nicchiarelli c’è dietro un grande lavoro di ricerca e di approfondimento. Nulla è lasciato al caso. La scelta dei due protagonisti vuole essere antiretorica, con la giovanissima Margherita Mazzucco, vista in L’amica geniale, e con Andrea Carpenzano, che ha la fisicità di un Francesco esile, quasi uscito dal famoso quadro di El Greco. Chiara è prodotto da Vivo Film con Rai Cinema e Tarantula. 

Femminismo e comunismo evangelico si incontrano in Chiara.

Il messaggio di Chiara è molto forte, la sua è una scelta politica radicale, critica una società ingiusta, che è quella di ieri ma anche quella di oggi, si mette dalla parte degli ultimi, costruisce una comunità che non ha vertici, dove tutti sono uguali. Non posso dimenticare la scena di Fratello sole, sorella luna in cui Francesco si spoglia davanti agli occhi del Papa, uno dei tanti film che mi hanno ispirato, insieme a quelli di Liliana Cavani. Chiara è femminista perché voleva fare quello che aveva fatto Francesco ma glielo impediscono e allora lotta per le donne che ha raccolto attorno a sé.

Come mai ha scelto Margherita Mazzucco e Andrea Carpenzano?

La recitazione doveva essere naturale, c’era il pericolo di diventare ampollosi o retorici. Mazzucco e Carpenzano avevano l’età giusta. E il giusto magnetismo.

Come ha lavorato sul linguaggio che mescola volgare, latino e francese.

Francesco predicava in volgare, perché parlava con la gente. Era una figura scomoda. Voleva portare la religione fuori dalle cattedrali. Scrive addirittura una preghiera in volgare. Di solito è dipinto mentre parla con gli uccelli, ma lui parlava alle folle. Se li avessi fatti parlare l’italiano moderno avrei tradito questa componente fondamentale. Avevo anche in mente i fraticelli di Uccellacci e uccellini che sono i francescani più veri, Totò e Ninetto Davoli, un napoletano e un romano.

Ci saranno i sottotitoli?

Ci sono alcune scene sottotitolate in italiano, ma il film è comprensibile. Il Cantico delle creature di Francesco è il primo testo letterario italiano, si studia a scuola. Con Nadia Cannata, docente alla Sapienza, abbiamo ricostruito l’italiano francescano. Poi c’è il francese, perché Francesco era appassionato di Chanson de geste. I personaggi danzano e cantano su testi dell’epoca, musicati dall’Anonima Frottolisti, un ensemble di Assisi. Sono canzoni d’amore di allora che servono a ricordare quanto c’era di laico nella storia di questi ragazzi.

Tra l’altro il film ha una parte musicale importante, come sempre nel suo cinema, da Nico, 1988 a Miss Marx.

Per me qui il modello era Jesus Christ Superstar e anche Hair. Il francescanesimo era un movimento gioioso, celebrava la vita. Chiara non è un musical, ma volevo che ci fossero la danza e il canto.

Il film è dedicato a Chiara Frugoni. 

Che purtroppo non c’è più, ma ha fatto in tempo a vederlo. La sua consulenza è stata fondamentale. Ho letto i suoi libri che aprono una prospettiva diversa rispetto alla visione classica di Chiara, quella dell’agiografia. Era una ribelle, stava dalla parte degli ultimi in una società ingiusta dove il divario tra chi ha tutto e chi niente era enorme, come lo è oggi. Ha costruito una comunità di uguali, senza gerarchie. Come donna non le era permesso di fare ciò che faceva Francesco, per esempio non poteva andare in Marocco ed è uno dei momenti in cui si infuria. Lei desiderava un apostolato attivo. Nel Medioevo le donne religiose si dovevano chiudere in convento, scomparire. Chiara invece vuole dare l’esempio, farsi vedere. La vita religiosa era una scelta di libertà, in un’epoca in cui ti costringevano a sposare a 12 anni un uomo anziano. Invece così diventavi padrona della tua vita, parte di una comunità attiva.

Dove avete girato?

Nella Chiesa di San Pietro a Tuscania, una location di Uccellacci e uccellini. Poi nell’Abbazia di San Giusto, sempre a Tuscania. In Umbria, a Bevagna. Nei boschi laziali per la Porziuncola.

Che rapporto ha con la fede cristiana?

Non sono credente, ma sono in cerca e la storia di Francesco e Chiara mi ha suscitato grande emozione. Chiara, rispetto a Nico e Eleonor Marx, trova un senso grazie alla fede e alla comunità. È stato bello relazionarmi a questo. Mi sono divertita a raccontare i miracoli che fanno parte della leggenda di Chiara, lei è un’icona come Nico. Ma il santo non è un mago, i miracoli accadono, vengono da Dio. E Chiara ha paura della distanza che i miracoli creano rispetto alla gente. 

Quanta libertà ha come regista?

Io mi sento liberissima e sono fortunata. L’essere una donna non mi limita in alcun modo. Il problema è arrivare a fare la regista. Ho lavorato tanto alle selezioni al Centro Sperimentale. Le donne che hanno fatto domanda per il corso di regia sono un quarto del totale, troppo poche. Il problema è che le ragazze non pensano che questa sia una strada per loro. È un discorso culturale profondo che nel nostro paese bisogna fare.

In questo film sceglie canzoni d’epoca ma poi chiude con un testo contemporaneo.

Ci sono due canzoni sacre e due canzoni d’amore in francese, tra l’altro una è cantata da Andrea Carpenzano. Poi c’è la canzone di Cosmo Le cose più rare, un testo perfetto per il finale perché consegna Chiara all’oggi e la rende una ragazza normale.

Papa Francesco vedrà il film?

Magari. 

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