‘Sulla terra leggeri’. Sara Serraiocco, il senso del ricordo e il dialogo con l’invisibile

L'opera prima di Sara Fgaier, con l’attrice accanto a Andrea Renzi, partecipa in Concorso Internazionale a Locarno77: il film – storia di un'amnesia, nata intorno alla simbologia del Carnevale - è distribuito da Luce Cinecittà


LOCARNO – L’intermittenza della mente, la discontinuità del ricordo. Cosa c’era prima di adesso? Nessun reperto del passato, la memoria è un concetto teorico per Gian (Andrea Renzi), docente universitario, il cui male è l’amnesia temporanea di tipo dissociativo – questa la diagnosi.

Gian è un papà e non lo ricorda, nemmeno questo, ma Miriam (Sara Serraiocco), sua figlia, conserva un suo diario, di quando lui aveva vent’anni, un racconto intimo scritto intorno a Leyla, incarnazione della scoperta dell’amore. Ecco lì, in quelle pagine, la scossa emotiva capace di innescare la luce per ritrovare se stesso, per rivelare il presente, attraverso sequenze di vita raccontate da Fgaier con l’uso sostanziale di materiale d’archivio: sono oltre 10 gli archivi mondiali da cui l’autrice ha attinto per Sulla terra leggeriConcorso Internazionale a Locarno77 –, film girato in Super16 e distribuito da Luce Cinecittà. “Ho sempre iniziato i miei film da immagini d’archivio, credo la mia mente lavori proprio così, lasciandomi anche ispirare da quello che trovo: sento una continuità con i progetti precedenti, e anche in un questo caso, seppur sia una storia di finzione, mi sembra le immagini d’archivio potessero c’entrare e fossero fondamentali per raccontare la frammentarietà della condizione mentale. Le ricerche d’archivio sono durate circa tre anni: è stata una ricerca in parallelo agli sviluppi della storia e, anche se ho sempre usato repertorio, in questo caso mi è parsa un’ulteriore rappresentazione, perché mi permetteva di visualizzare il sentire dell’uomo e poi perché mi dava il senso che quando qualcuno muore se ne vada anche un modo di amare e un’epoca, e l’archivio è epoca”.

Il film di Fgaier è un racconto che stimola l’interrogativo sulle fondamenta del ricordo, che non significa l’ossessione del trattenere a sé il passato, ma l’accensione del motore che possa permettere d’ingranare lo slancio personale per ricostruirlo.

La regista spiega sia stata “una scrittura molto libera, con ispirazioni diverse: i sogni, il lutto, esperienze capaci di riconfigurare le spazio e il tempo e che riconciliano con se stessi, in cui l’amore segna sempre un prima e un dopo, come delle coordinate. Livelli di vita di Barnes è stato un libro abbastanza illuminante, lui dice ‘metti insieme due cose che insieme non sono mai state, e il mondo cambia’, e da lì la raccolta dei materiali e poi la scrittura della storia dell’uomo che perde la memoria. La genesi del film, comunque, è stata un po’ particolare, in origine doveva essere un film sul Carnevale: ho girato immagini documentarie a Bosa, in Sardegna, visione che mi ha affascinata, ma anche un po’ inquietata, e da lì ci sono state ispirazioni differenti: lavorando su queste immagini, l’idea assoluta che mi interessava era quella di morte e rinascita, perché proprio il Carnevale ci ricorda come tutto sia trasformazione e cambiamento, poi sono scaturite le ricerche su innamoramento e perdita, in cui l’individuo si deve ricollocare, entrando in contatto con la parte irrazionale di sé. Ecco l’idea di mettersi in contatto con noi stessi di epoche passate”.

Sulla terra leggeri è un film circolare, dalla morte alla vita, compie un giro inverso al naturale processo dell’esistenza, perché Fgaier sceglie di far ri-nascere l’essere umano, e qui c’entra anche “la scelta fotografica, per rappresentare il luogo di vissuto come una prigione, per rendere la dimensione mentale: buio, tapparelle abbassate, i materiali d’archivio dell’inizio, tutto serve per restituire senso di frammentazione; quando poi in casa entra la figlia si riempie di luce, tutto comincia a cambiare. Dal Golfo dei Poeti a Tunisi – queste alcune delle diverse location del film – tutti i luoghi sono accomunati dall’elemento marino, fondamentale per il vissuto di Gian, accanto alle cave di marmo, i cui tagli mi ricordavano quelli della sua vita”, uno spaccato esistenziale raccontato anche attraverso il genere, infatti Fgaier conferma sia stato “un elemento ancor più sviluppato in sceneggiatura, c’era molto più mistero. Si scompare e si rinasce grazie a un cambio di prospettiva, con Gian che – alla fine del diario – in qualche modo prolunga l’esistenza di Leyla, perché i morti non sono morti finché non decidiamo di dimenticarli. È come se lui creasse un dialogo con l’invisibile, rendendola eterna dentro di sé”.

Per Andrea Renzi, “il personaggio che interpreto si compone di tempi diversi: si cerca di raccontare che nessuno di noi viva in un tempo lineare; mentalmente tutti noi viviamo più tempi, ma con le parole diventa cervellotico, mentre il lavoro sulla forma cinematografica lo rende una possibilità di associazioni per la visione degli spettatori. Siamo stati accomunati dalla sensibilità di Fgaier sul set, il suo gusto e la continua sensazione che cercasse di tenere a distanza lo spettacolo, concentrandosi sulla ricerca del necessario, e questo mi ha guidato”.

Mentre Serraiocco spiega che “Miriam mi ha affascinata perché è una donna molto matura, con il compito di riportare in vita le memorie del padre: lei subisce un duplice lutto, perché perde la madre ma c’è anche l’amnesia del padre, tutto si disintegra. Da figlia, in un istante si trova a essere sola nel mondo: ciascuno di noi ha il compito di generare ricordi per tenere in vita le persone”. E Miriam lo riesce a fare anche perché spinta dalla speranza di una diagnosi non assoluta, concetto che per l’attrice: “dal momento in cui ci sono i ricordi, in cui Miriam viene percepita dal padre come figlia, si ha la sensazione di essere reali, presenti, di avere quindi la speranza: questo limbo, in cui il padre non ricorda ma in cui piano piano iniziano a scoprirsi e ad accettarsi per quello che sono, due esseri umani che affrontano una difficoltà della vita, è il massimo segnale di speranza per entrambi”. Un tema, quello della speranza, caro alla regista perché “era fondamentale avere un finale bello, con il loro nuotare insieme verso l’orizzonte, momento di apertura, in cui il cambio di prospettiva di Gian lo rende capace di tornare a vivere e tornare al suo ruolo di padre”.

Le musiche originali di Carlo Crivelli rendono il film stesso una partitura, un ensemble di immagini e suono, in cui quest’ultimo amplifica e enfatizza l’emozione, dei personaggi, dello spettatore, e per Fgaier la musica, di repertorio e non, è stato un modo per “cercare di essere nel meccanismo mentale di Gian: ci piaceva fosse la figura di lei, da un’altra dimensione, che a bocca chiusa cominciasse il canto e quindi portasse l’idea di come i morti possano continuare a incidere nelle esistenze. Sul finale c’è Crivelli e c’è Händel: volevo che, attraverso il Requiem, Gian si abbandonasse all’emozione”.

Sulla terra leggeri sarà distribuito al cinema nell’autunno-inverno 2024/2025.

 

 

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