Sul Lido venti di protesta. E il cinema riflette la crisi mondiale

Il direttore della Mostra, Alberto Barbera, illustra il programma dell'edizione numero 70. E la protesta per il tax credit prosegue


Si apre con un appello delle associazioni del cinema, la conferenza stampa di Venezia 70. Spetta allo sceneggiatore Nicola Lusuardi prendere la parola, ricordando che per ora dal ministro Bray sono arrivate “promesse che si collocano in un futuro indeterminato” e quindi l’agitazione continua. “Le associazioni non parteciperanno a nessuna assise di Venezia e ci riserviamo ogni altra azione, finché queste promesse non diventeranno fatti”. Ma sul tema del mancato reintegro del tax credit smorza il presidente della Biennale Paolo Baratta: “Il ministro in totale semplicità ha voluto anticipare a maggio l’approvazione dei 43 mln di euro di contributo, che di solito vengono erogati a fine anno, e il ministro del Tesoro ha concesso solo una parte di quei fondi. Scelta comprensibile che ha portato ad avere metà del finanziamento con sei mesi di anticipo rispetto al solito. Credo che si vada verso una conclusione positiva, sono fiducioso”.

Venti di crisi, dunque, su questa settantesima edizione. Che si specchiano nel cinema contemporaneo. Spiega il direttore Alberto Barbera, quantomai loquace: “Mai come oggi la nostra selezione racconta la crisi, anzi le crisi e i conflitti che stiamo attraversando, conflitti etici, economici, sociali, politici, religiosi. E tutto questo si riflette nel nucleo familiare con tante storie di solitudine, di bambini lasciati senza guida, casi di prostituzione, pedofilia, violenza sulle donne, omofobia. La famiglia è un microcosmo simbolico della crisi di valori della nostra società”.

Una Mostra carica di emozioni forti, dunque, quella che si terrà dal 28 agosto al 7 settembre. Venti i film in concorso, tra cui i tre italiani (ne parliamo a parte). L’atteso The Wind Rises del maestro dell’animazione e premio Oscar Hayao Miyazaki, non inedito ma per lui si farà una concessione, il fluviale (175’) e durissimo The Police Officer’s Wife del tedesco Philip Gröning, The Zero Theorem di Terry Gilliam con Christoph Waltz, Matt Damon e Mélanie Thierry, Philomena di Stephen Frears (nella foto), il film-testamento Stray Dogs di Tsai Ming-Liang, che ha dichiarato di voler smettere di girare e qui valicherà i limiti della settima arte, Parkland di Peter Landesman, ambientato nell’ospedale di Dallas dove fu ricoverato John F. Kennedy dopo l’attentato nel 1963. “Venezia sulla carta si prende – ha aggiunto Barbera – dei rischi in più, ad esempio mettendo in concorso, ed è la prima volta in un festival, due documentari, quello di Gianfranco Rosi e quello di Errol Morris sul ministro della Difesa americano Donald Rumsfeld, e programmando molto cinema d’autore con una funzione di sostegno e promozione. Tutti i più grandi autori, da Jarmusch ai Coen, erano a Cannes? In parte è vero, i grandi autori in attività non sono poi così tanti e Venezia ha fatto i conti con quello che c’era, ma i nostri sono rischi calcolati, nessuno ci ha obbligato e mettere due documentari in concorso”. Pesa la concorrenza di Toronto? “La prendo alla lontana – risponde pacato il direttore – alcuni film non ci sono piaciuti o ci sono piaciuti meno di altri e non li abbiamo invitati, altri hanno scelto di non venire perché per il marketing delle grandi produzioni è fondamentale poter portare i divi e se l’attore non è disponibile perché sta agli antipodi a girare, nella loro logica, la presenza al festival diventa inutile. E poi i costi per portare le grandi star sono sempre più imponenti”. E Luchetti, che ha scelto per debuttare con Anni felici il festival canadese? “Già a Cannes mi ha detto che non voleva venire a Venezia perché scottato dall’ultima esperienza. Rispetto la sua decisione. So che molti autori italiani hanno paura di Venezia, per l’atteggiamento severo della critica e i fischi in sala, ma bisogna fare la tara: quando i film sono veramente buoni nessuno li maltratta. Poi è vero che l’ultimo Leone d’oro risale al ’98 con Così ridevano di Gianni Amelio, ma è una polemica assurda. Non vincere un premio non deve diventare patente negativa”. Nel gioco delle geografie in competizione si contano 5 americani (James Franco, Jonathan Glazer, David Gordon Green, Kelly Reichardt, Errol Morris) e 3 inglesi (John Curran, Stephen Frears, Terry Gilliam), con un grande rilancio del cinema britannico, tre francesi, tra cui l’algerino Merzak Allouache (Les Terrasses) e l’israeliano Amos Gitai (Ana Arabia) oltre a Philippe Garrel (La jalousie). Abbondano i film lunghi o lunghissimi, con picchi di cinque ore per Die andere Heimat Chronik einer Sehnsucht di Edgar Reitz, sulla Germania di metà Ottocento, o il documentario su un manicomio cinese di Wang Bing che supera le tre ore. Le star sono legate soprattutto al fuori concorso, a partire dal film di apertura Gravity con Sandra Bullock e George Clooney, che non può mai mancare al Lido, mentre il polacco Wajda porterà al festival il leader di Solidarnosc Lech Walesa.

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25 Luglio 2013

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