Sì è conclusa definitivamente con il decimo episodio della quarta stagione Succession, considerata – premi alla mano – la mia migliore serie originale uscita nell’ultimo lustro. Sia chiaro, parlando meramente di numeri, non si tratta di certo del prodotto più seguito, restando spanne dietro a serie molto più commerciali come Game of Thrones, Stranger Things o, per ultima, The Last of Us, ma Succession è una di quelle rare serie così lucide, originali e coerenti con loro stesse da diventare cult istantanei per un certo tipo di pubblico e, soprattutto, convincendo la critica internazionale stagione dopo stagione. Con 8 Emmy, 5 Golden Globe, un’infinità di altri riconoscimenti e un’ultima tornata di premiazioni che sicuramente la vedrà protagonista, Succession è entrata di diritto nell’Olimpo delle migliori serie di sempre. Lo show creato da Jesse Armstrong è riuscito, tra le altre cose, a mettere in scena un finale estremamente convincente, impresa riuscita ben poche volte nella storia della serialità.
Ma cosa rende Succession così speciale? La serie racconta gli ultimi anni della vita del magnate Logan Roy, patriarca di una ricchissima famiglia in possesso dell’azienda conglomerata Waystar-Royco, leader nel settore dei media e dell’intrattenimento. Ispirato alla figura reale di Rupert Murdoch, Logan è un uomo rigido, inflessibile, oggettivamente detestabile, ma dotato anche di un grande carisma e di un magnetismo portato in primis dall’interpretazione di Brian Cox. Le quattro stagioni vedranno la lotta intestina per aggiudicarsi la “successione” dei tre figli di Logan, Kendall, Shiv e Roman (rispettivamente Jeremy Strong, Sarah Snook e Kieran Culkin), tre persone diversissime, ma tutte contraddistinte dallo stesso complicato rapporto con il padre.
L’unicità di Succession, anche a livello stilistico, è il fatto di essere forse l’unica serie in cui non esistono personaggi realmente amabili, in quanto ci troviamo di fronte a un gruppo di donne e uomini ricchi, privilegiati, avidi, dotati di qualsiasi vizio ci possa venire in mente e capaci solo di peggiorare in una continua spirale discendente. Soprattutto, con rare eccezioni, gli autori sottolineano continuamente la mancanza di qualità della maggior parte dei protagonisti, spietatamente ritratti in tutti i loro limiti e le loro umane fragilità. Succession si configura fin da subito – e si conferma fino alla fine – come un racconto al tempo stesso satirico e tragico, che ci lascia in qualche modo stupefatti davanti alla più disfunzionale famiglia che la serialità abbia mai incontrato. Un modello così vincente che ha indubbiamente avuto un eco anche nel nostro paese, con Gabriele Muccino che nell’adattare in un fermato seriale il suo film A casa tutti bene, si è chiaramente ispirato alla struttura ideata da Armstrong.
La quarta e ultima stagione di Succession è disponibile in Italia su Sky Atlantic e Now Tv. Ad oggi è quella con il punteggio Rotten Tomatoes più alto (un tondo 98%), grazie anche al già citato finale, che conferma tutta la cinica e disincantata tragicità in cui si sono trovati a vivere i ricchi ma infelici figli del perfido Logan Roy. L’attesa ora è per la stagione dei premi in cui gli autori e gli interpreti avranno il loro ultimo e meritatissimo momento di gloria.
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