Steve McQueen: “Nella prigione del sesso”


VENEZIA. In odore di premi il videoartista Steve McQueen con il suo secondo lungometraggio Shame, accolto con un’ovazione alla conferenza stampa e bene anche in sala, a parte pochi fischi. A cominciare dal protagonista Michael Fassbender già visto e apprezzato al Lido nel film di Cronenberg, qui nei panni di un uomo che, incapace di vivere una qualsiasi relazione amorosa e affettiva, vive in modo compulsivo il sesso, anche omosessuale, fino ad esserne totalmente prigioniero.

Brandon è un single che vive a New York una vita monotona e ordinaria, fatta di ufficio e casa, ma che ha tutte le libertà del mondo occidentale. O presunte tali. Così la possibilità di avere a disposizione una grande libertà sessuale si trasforma nella completa dipendenza dal sesso, consumato via web a casa e al lavoro, in incontri con prostitute e masturbazioni al bagno, in locali a luci rosse. Brandon precipita sempre di più in questo vortice inarrestabile. Non sembra aiutarlo a uscirne fuori l’arrivo improvviso della fragile sorella Sissy (Carey Mulligan), ribelle e irrequieta, ma anche dolce e affettuosa. La redenzione è comunque possibile, ma Brandon dovrà vivere tutte le tappe di questo viaggio privo di una bussola morale.
Shame, che uscirà con Bim, è prodotto da See-Saw Films, la stessa de Il discorso del re, in associazione con Film4 e UK Film Council. Cosceneggiatrice del film è Abi Morgan che di recente ha scritto The Iron Lady, il biopic di Margaret Thatcher interpretato da Meryl Streep.

Da dove è venuta l’idea del titolo e dove sta la vergogna?
Il titolo viene dopo molte discussioni perché le persone che sono simili a Brandon, che hanno la stessa esperienza, hanno continuato a ripetere questa parola, quest’emozione unificante durante gli incontri che abbiamo avuto con loro.

 

E l’ispirazione del film?
E’ venuta naturale, ovvia,  guardando alle dipendenze oggi presenti nella nostra società: le droghe, l’alcol, il gioco. Questi comportamenti mi hanno aiutato a creare il personaggio, che non è basato su nessuna persona reale. Durante la nostra ricerca abbiamo solo incontrato tante persone che avevano avuto esperienze simili a quelle di Brandon.

 

Che cosa prova per il suo personaggio?
Mi piace Brandon, anche se è un uomo difficile e che ci mette a dura prova. Non è tanto diverso da noi, non è una persona cattiva e repellente, vive tutte le difficoltà del presente. E’ un personaggio forse poco familiare ma riconoscibilissimo.

 

Il suo primo film, “Hunger” Camera d’or per la migliore opera prima sembrava molto politico. E “Shame”?
Anche questo film riguarda la politica. Hunger trattava la politica specifica dell’Irlanda del Nord. Qui invece la politica torna mostrando come la nostra vita è cambiata sessualmente, come siamo influenzati dalle regole esistenti.

 

“Hunger” racconta di un uomo in carcere, il militante dell’IRA Bbby Sands, che ha perso la libertà e usa il suo corpo per riconquistarla. E qui?

E’ una situazione opposta dove una persona ha accesso a tutto, vi è abbondanza di tutto. Shame mostra come tanta libertà diventa una prigione e spesso accade quando si ha una grande possibilità di accesso. Il protagonista di Hunger vive una costrizione fisica ma in qualche modo governa la sua libertà, qui invece Brandon è così libero che alla fine rimane imprigionato. Mi è stato detto che Hunger non è stato distribuito in Italia per la nudità dell’uomo, se fosse stata di una donna credo che non ci sarebbe stato nessun problema.

 

Perché New York e non Londra come location?
New York è una città contemporanea, che vive ventiquattr’ore al giorno, è il posto dell’eccesso e dunque il luogo migliore per un uomo come Brandon. La città è un personaggio del film.

 

Ha voluto anche per questo secondo suo film Michael Fassbender?

Con Michael è quasi una storia d’amore, un colpo di fulmine che non accade tutti i giorni. Per ora mi è difficile fare a meno di lui in un film forse arriverà quel momento. Anche con la sceneggiatrice è una collaborazione straordinaria Siamo stati fortunati perché è successo e ci amiamo.

 

Come mai ha scelto la canzone “New York New York”?

Mi piace la canzone, se ascolti le parole ti accorgi che è una motivo blues, una canzone triste, Karry l’ha reinventata  e in modo fantastico e la reazione del fratello Brandon /Michael è fantastica. E ‘ stato un momento veramente emozionante quando abbiamo girato questa sequenza.

 

Quest’anno lei per due volte è a Venezia: come artista per La Biennale e come regista per la Mostra. Come riesce a tenere separate le due cose?
 Tra arte e cinema non vi sono barriere, forse il cinema può essere considerato meno arte in quanto tale, ma alla base c’è lo stesso processo: il lavoro.

autore
04 Settembre 2011

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