STEFANO INCERTI


Stessa rabbia, stessa primavera: è rubato ad una canzone di De Andrè il titolo scelto da Stefano Incerti per il suo documentario su Marco Bellocchio e il suo Buongiorno, notte. Dopo i Nuovi Territori di Venezia 60, il filmato approda al Roma Film Festival. Più che un backstage, è un ritratto del regista tra vita, cinema e politica.
La produzione è di Sergio Pelone per Filmalbatros e Dario Formisano per Elleu Multimedia, marchio che distribuirà il dvd.

Raccontaci l’impatto con il set di “Buongiorno notte”.
La regia del documentario mi è stata affidata 2 settimane prima dell’inizio delle riprese del film. Per muovermi con più dicrezione sul set ho girato solo con una Sony 150. E’ stata la mia prima volta con il digitale e la leggerezza del mezzo mi ha addirittura permesso di stare tra Bellocchio e gli attori. Nei teatri di posa di Cinecittà, trasformati nel covo brigatista, c’era quella serenità che solo una sceneggiatura solida può dare. Mi ha colpito il grande silenzio ma, soprattutto quella sorta di seduta psicoanalitica voluta da Bellocchio prima del ciak. Momenti di confronto in cui dar vita ad un percorso collettivo.

Di quali altri materiali è composto il documentario?
Ci sono immagini di repertorio provenienti dall’archivio Rai e dall’Archivio del Movimento Operaio e Democratico che offrono uno spaccato dell’Italia degli anni 60/70: dagli operai al lavoro agli scontri di piazza. Poi frammenti di film di Bellocchio, tratti dalle pellicole più legate a Buongiorno, notte come I pugni in tasca e L’ora di religione. L’ossatura è fornita da un’intervista che ho realizzato con lui a Valle Giulia, là dove è cominciato il ’68 romano. Mi sono preparato rivendendo tutta La notte della Repubblica di Zavoli e leggendo alcuni libri tra cui quelli di Giorgio Galli sul partito armato. Anche qualcosa su Bellocchio: il catalogo curato da Paola Malanga per la retrospettiva di Locarno del 1998, il Castoro scritto nello stesso anno da Sandro Bernardi. Dalle mia scaletta di domande ho tenuto fuori temi come la psicoanalisi e la follia, cruciali nel cinema di Bellocchio ma non direttamente connessi con Buongiorno, notte.

Dall’intervista emergono le molle che hanno spinto Bellocchio a girare “Buongiorno, notte”?
Emerge l’interesse per il personaggio femminile, ispirato ad Anna Laura Braghetti. Bellocchio non voleva ricostruire il caso Moro né ambiva a raccontare un’epoca. Al centro di tutto c’è lo sguardo verso i rapporti, intimi e misteriosi, tra prigioniero e carcerieri. L’altro elemento chiave è il legame con il padre: in qualche modo, attraverso il film e il personaggio di Aldo Moro, Bellocchio ha recuperato il rapporto con la figura di suo padre, a lungo rimossa.

Il verso di De André da cui hai preso il titolo si riferisce al ’68. Perché l’hai scelto?
Perché il documentario parte dalle immagini del ’68, la stagione che Bellocchio ha, in un certo senso, anticipato con I pugni in tasca. Poi la frase Stessa rabbia, stessa primavera è la sintesi perfetta del suo cinema: la rabbia è quella che attraversa tutte le sue pellicole, la primavera rimanda alla straordinaria giovinezza che continua ad esprimere.

Bertolucci ha detto che la morte di Moro coincide con la fine del sogno. Per Bellocchio il sogno si è mai riacceso?
Di certo c’è in lui un profondo disincanto verso la politica. Ma nell’intervista evoca il risveglio dei movimenti, i ragazzi del G8 senza dimenticare le componenti cattoliche.

autore
03 Settembre 2003

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