Radio Rock, nome storico dell’emittente radiofonica romana (106,6 in FM), è il titolo del nuovo film di Stefano Grossi. Il regista e la sua troupe, tra cui il direttore della fotografia dell’Ultimo bacio Marcello Montarsi, sono all’ultima settimana di riprese, negli studi della radio.
Il film si preannuncia interessante, voce unica e originale. Un pamphlet, come lo definisce lo stesso regista, o più semplicemente il prodotto di una contaminazione fra le varie tecnologie visive: il digitale, il 35 mm. e il 16 mm. La storia segue più forme narrative: documentario, inserti di fiction e interviste. Il film segna anche l’esordio nella produzione della D4, società solitamente impegnata nella produzione di progetti televisivi. La distribuzione è affidata alla Pablo.
Il film per ora ha i preacquisti di Tele +, e sta aspettando una risposta per l’art. 8. Grossi, professore di tecniche del linguaggio cinematografico all’Università di Genova, nel 1999 ha firmato il suo esordio con Due come noi, non dei migliori, film che ebbe i consensi della critica e un premio al Festival di Locarno.
Di cosa parla Radio Rock?
A un primo sguardo si tratta di un film documentario sulla radio e sulle sue trasformazioni. Ma la radio diventa pretesto per parlare della controcultura un tempo legata al rock. Il percorso serve a capire – insieme a coloro che lavorano in radio – cosa resta della cultura dell’antagonismo, così come era inteso una volta. Affrontare questo discorso non è facile, bisogna stare attenti a non prendersi troppo sul serio e nello stesso tempo non essere troppo goliardici.
Come è strutturata la storia?
Vi sono due piani del racconto: uno esterno, l’altro interno alla radio. Per dirla in parole semplici il cerchio di narrazione esterno è rappresentato dalla colonna sonora che porta a Jimi, l’unico personaggio di fiction. Jimi è un carattere un po’ matto, vaga nell’arco di una giornata per la città con il tram, il mezzo che lo porterà alla sede della radio. Questa linea narrativa viene spezzata di volta in volta da schegge di intervista a Luigi Pintor, Gino Castaldo e Carlo Donolo. Quest’ultimo è un sociologo, professore della facoltà di Scienze della comunicazione.
Chi è Jimi?
Un personaggio (interpretato da Giordano De Plano, n.d.r.) che, secondo le mie intenzioni, dovrebbe incarnare l’irriducibilità. Nel rock c’è sempre qualcosa che non viene a patti con niente. Allora Jimi, girando con il tram, rappresenta l’escluso, il contrario di coloro che vivono facendo della musica rock la loro fonte di guadagno. Di nuovo la vecchia cultura dell’antagonismo in dialettica con il rock di oggi.
E le schegge?
Sono spunti tematici discussi dagli intervistati. Luigi Pintor parla di diverse cose: l’uguaglianza e l’ineguaglianza (che si accorda bene con alcune battute di Jimi). E poi c’è l’obesità, intesa come modello di sovrapproduzione e sovraconsumo coatti; e, al suo opposto, la sobrietà e, per finire, il potere, l’imposizione della diseguaglianza. Carlo Donolo invece interviene sulla comunità di Seattle, dunque sull’effettiva possibilità per queste realtà organizzative di invertire il corso di un meccanismo ormai difficile da arrestare. L’altro punto è sulla palude, termine con il quale si descrive lo stato di incertezza nel quale sono cresciute le generazioni dagli anni ’80 in poi.
Lei sta usando vari tipi di supporto, dal digitale al 16 mm….
Sì, poi riverserò tutto in 35 mm. Ma riprendo per lo più in digitale. Per le scene sul tram, abbiamo usato anche la 16 mm., quella con il motore a molla. Questo tipo di cinepresa effettua riprese di massimo 30 secondi. E’ stato molto divertente usarla. Vengono immagini leggermente traballanti.
Cosa pensa del digitale?
Pellicola e digitale sono due linguaggi diversi. Il digitale è antinaturalistico, se non sei obbligato dall’estetica della verosimiglianza, diviene ottimo strumento di ripresa. Quando invece viene usato per scimmiottare la tecnica di ripresa tradizionale, perde tutto il suo appeal. Il digitale segue un ritmo sincopato, grazie al quale si fa a meno dei classici raccordi. Dunque è un mezzo, in potenza, al servizio di storie meno vincolate al reale.
Cosa è diventata Radio Rock oggi?
Prendendo un paragone dal mondo del cinema, una specie di multisala: vi puoi trovare i film di Sautet come i peggiori film commerciali. Per me sarebbe un limite, per loro invece vuol dire essere al passo con il mondo, un modo di ampliare l’offerta senza svendersi troppo.
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