Un bianco e un nero. Un tavolo. Una Bibbia. Un giornale. Un paio di occhiali. Un taccuino e una matita. Il nero ha strappato al bianco al suo destino suicida, salvandolo dal suo intento di gettarsi sotto un treno. E’ lo scarno impianto narrativo di Sunset Limited, romanzo in forma drammatica di Cormac McCarthy, considerato uno degli scrittori più importanti dell’America di Obama e grande testimone dell’America dei nostri tempi.
Oggi ne viene tratto un testo teatrale, diretto da Andrea Adriatico – che abbiamo visto al cinema con Il vento, di sera, All’amore assente e il documentario + o – Il sesso confuso. Racconti di mondi nell’era Aids – e interpretato dall’attore Stefano Dionisi, che con il teatro, in cui ora debutta, intrattiene un rapporto speciale sin dai tempi della sua operistica performance in Farinelli-Voce regina di Gérard Corbiau, che gli valse un David di Donatello speciale.
Lo spettacolo, prodotto da Teatri di Vita in collaborazione con Arena del Sole – Teatro Stabile di Bologna, va in scena il 19 e il 20 novembre al Teatro del Sole, e a Teatri di Vita dal 14 novembre al 5 dicembre, e accanto a Dionisi vede coinvolto il senegalese Mambaye Diop. Abbiamo parlato della pièce con il disponibile interprete Dionisi, al suo debutto in teatro, che ci racconta come vive questa esperienza, dopo molti lavori in tv.
Ci parli un po’ di “Sunset Limited”…
Il dibattito centrale è sul tema della religione. Ci sono un nero e un bianco che si confrontano sul vero significato della vita. Ne nasce un confronto verbale, con Dio sempre al centro dell’attenzione, che porta verso una conclusione disperata. Non è la cultura, o l’esperienza personale che spinge all’auto-distruzione, ma il sentimento profondo del dolore e della sofferenza del mondo.
Come si è relazionato all’autore McCarthy? Dai suoi libri sono stati tratti film di successo, come “Non è un paese per vecchi” e “The Road”…
Non li ho usati per prepararmi. Ho letto solo ‘La Strada’, perché me lo hanno regalato tempo fa. E’ un autore lontano dai miei gusti abituali, io sono più per il mélo. Cerco il confronto, che in McCarthy, che è totalmente pessimista, viene a mancare. I personaggi non si muovono mai, restano sempre nelle loro posizioni di partenza. Certo è un modo di scrivere assolutamente moderno, che al cinema si vede pochissimo e meno che mai in tv…
Quali sono, secondo lei, i punti in comune tra “La Strada” e “Sunset Limited”?
I temi principali sono quelli. C’è un aspetto visionario e pessimistico, disperato, che si ritrova anche in ‘Non è un paese per vecchi’. Ne ‘La Strada’ era il mondo a essere minaccioso. Qui la minaccia più grande è il punto di non ritorno a cui arriva l’uomo quando non sente più niente dentro di sé.
Alcuni brani di McCarthy, come il monologo poi magistralmente interpretato al cinema da Robert Duvall in “The Road”, sono spesso paragonati al teatro dell’assurdo. Non a caso il regista Andrea Adriatico ha dedicato un’intera stagione alla rappresentazione di Samuel Beckett…
Ho trovato in McCarthy la freddezza di un intellettuale che non vede nel mondo alcun barlume di speranza. Ne ‘La Strada’ il mondo è distrutto in partenza, qui viene distrutto gradualmente attraverso la parola.
Compresa la parola di Dio. Uno dei pochi elementi fondamentali della scenografia è una Bibbia…
Esatto. La Bibbia è un credo e il credente si accontenta di ciò che ha. C’è una frase che dice “l’evoluzione dell’uomo porta alla consapevolezza della presenza di qualcosa di molto superiore”. Ma è proprio da qui che scaturisce l’annichilimento.
In “Farinelli -voce regina”, uno dei suoi ruoli più famosi e apprezzati, ha calcato le scene nella finzione cinematografica. Qual è il suo rapporto col teatro nella vita?
Per me è soprattutto un modo di rientrare, dopo tanto lavorare in tv, in una dimensione più intensa e gratificante. Mi mancava essere concentrato su una cosa sola. Da un mese e mezzo non penso ad altro che a Sunset Limited, e così sarà fino a quando chiuderemo, il 5 dicembre.
Si trova più a suo agio sul palco o davanti alla macchina da presa?
Diciamo che il cinema resta la mia grande passione. Amo la sua leggerezza, mentre nel teatro c’è una dimensione più “sacrale”, e c’è poco spazio per la risata e la spensieratezza. E poi quel modo di collaborare tutti insieme che in teatro manca. Sul palcoscenico si è più concentrati su se stessi. Porti tu in scena qualcosa e il resto scompare. Ma è questa la sfida principale, e per me è soprattutto un modo di ritrovarmi.
L’abbiamo appena vista in “Ti presento un amico” dei fratelli Vanzina accanto a Raoul Bova. Ha altri progetti per il futuro prossimo?
Mi vedrete in tv a febbraio, per il resto sono totalmente concentrato su Sunset Limited e anche in Il gioiellino, nuovo film di Molaioli.
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