Stefano Cassetti: “Finalmente un ruolo da buono”


“Un poison violent, c’est ça l’amour” (“Un veleno violento, è questo l’amore”) era una canzone di Serge Gainsbourg. Oggi Un poison violent è un film di Katell Quillévéré, al suo esordio nel lungometraggio e già tra le star della Quinzaine con il romanzo di formazione di una ragazzina di 14 anni (Clara Augarde) intrisa di morale cattolica – si sta preparando alla cresima – che scopre voglie e desideri poco consoni alla sua rigida educazione. Ma lei è solo uno dei tanti personaggi del film lacerati da spinte contraddittorie: ci sono la mamma molto religiosa (la diva francese Lio) appena abbandonata da un papà anticlericale (Thierry Neuvic), il nonno arguto e dissacrante a cui è molto legata (Michel Galabru), e padre François, un giovane prete che è amico della mamma da tanti anni. Quest’ultimo è interpretato da Stefano Cassetti, attore italiano ormai espatriato a Parigi da anni, lanciato da Cédric Kahn in Roberto Succo e visto recentemente, proprio alla Quinzaine, in Il resto della notte di Francesco Munzi. In Un poison violent è un prete dolce e ingenuo che scivola nel baratro del dubbio quando la sua vecchia amica Jeanne mostra per lui un interesse non proprio innocente.

Finalmente un ruolo positivo dopo assassini, criminali e drogati…
Sì, è la prima volta ed è una liberazione. Finalmente dimostro a me stesso a agli altri che posso suonare diverse corde, qui addirittura con un personaggio innocente, ingenuo, sognatore, lontano dai miei soliti delinquenti. Per diversi anni ho rifiutato ruoli violenti e ora con questa prova ho fatto un piccolo salto. Ma mi è già tornata la voglia di fare una parte da cattivone.

Come si è preparato per questo personaggio?
Ho seguito un sacerdote francese a Parigi per due-tre mesi, per conoscere la sua quotidianità, capire dove abita, cosa mangia, come prega, assimilare i suoi gesti. Da un punto di vista meno tecnico ho provato a ispirarmi a film francesi degli anni ’60 e ’70 con preti come protagonisti, come ad esempio Sotto il sole di Satana di Maurice Pialat. Ma in realtà non ho preso spunti da queste pellicole, piuttosto ho ripensato a quando, da piccolo, facevo il chierichetto ed ero molto legato al parroco, di cui ho un ricordo molto vivido.

Padre François è lacerato dai dubbi per l’attrazione verso una donna. Lei come vive la religione?
In realtà nel film non vedo una vera attrazione nei confronti di questa donna in particolare, quanto piuttosto quella verso il proibito, verso una via d’uscita dalla prigione che si è costruito. Io sono cattolico praticante, ma non nego di avere qualche problema a interfacciarmi con la Chiesa ultimamente. E’ stato bello però leggere un copione che riflette in modo intelligente sulla fede e la religione, è una cosa rara, mentre in realtà tutti devono fare i conti con la spiritualità. In ogni caso Un poison violent non è un film contro la Chiesa.

La protagonista compie un percorso che la libera da un’educazione religiosa rigida.
Il film affronta soprattutto il modo in cui si comunica l’educazione religiosa. La Chiesa oggi è fuori dal tempo, è rimasta indietro, e il suo approccio produce reazioni di insofferenza. Questo è uno spunto per riflettere sulla necessità di cambiare, e in fretta.

Ha scelto di vivere a Parigi da tanti anni. Come vede il cinema italiano da fuori?
E’ in una situazione catastrofica, e io stesso ho molte meno opportunità in patria che in Francia, anche se continuo ad avere un agente in entrambi i paesi.

E’ nel cast del nuovo film di Mario Martone, Noi credevamo. Qual è il suo personaggio?
Non posso dire molto, ma faccio una piccola parte nell’episodio in cui si racconta dell’attentato a Napoleone III. E’ stato bellissimo per lavorare con degli attori ‘fuori serie’ del cinema italiano, ero anche un po’ intimidito.

In quali altri film la vedremo prossimamente?
Ancora non so. Ma in questo periodo mi sto dedicando soprattutto all’altra mia passione, l’arte. Mi piacerebbe esporre presto in Italia.

autore
15 Maggio 2010

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