E’ italiano il primo documentario dedicato al gelido universo letterario di Michel Houellebecq, romanziere e poeta francese che ha infiammato la critica e le cronache europee. Michel Over Nous – il caso Houellebecq è firmato da una coppia di esordienti torinesi: il 24enne Stefano Bedetti, laureato al DAMS con una tesi sul rapporto tra Stanley Kubrick e Francis Bacon, e il 25enne Marco Saracco, videoartista e scrittore. E’ un prodotto low budget realizzato con il supporto della Associazione Amici di Michel Houellebecq fondata da Michelle Levy, dalla Bompiani che pubblica lo scrittore in Italia, e dal Multilab di Scienze della Formazione di Torino. “Siamo partiti quasi per gioco, senza microfoni né luci. Poi l’essenzialità è diventata una scelta estetica” spiegano.
Prende avvio dalla fine degli anni Cinquanta, dall’infanzia disintegrata di Houellebecq e attraversa l’intero percorso dell’autore che con poesie e romanzi (Particelle elementari, Estensione del dominio della lotta, Piattaforma) ha descritto una società occidentale dominata dall’azzeramento degli affetti e da un’ossessiva inclinazione pornografica. Fino al 2001, l’anno della pubblicazione di Piattaforme in cui racconta un’attentato di matrice fondamentalista anticipando di sole due settimane l’11 settembre. Per arrivare, nel 2002, all’assoluzione dall’accusa di istigazione all’odio razziale seguita ad alcune dichiarazioni sull’Islam, definito dalle pagine della rivista “Lire” “La religione più cretina”.
52 minuti in cui si alternano citazioni dai testi di Houellebecq, immagini del duo di fotografi Mas Bedo a lui ispirate, quelle del film tratto da Estensione del dominio della lotta diretto da Philippe Harel e mai distribuito fuori dalla Francia, e molte testimonianze: da Elisabetta Sgarbi, editor in chief di Bompiani, a un fan illustre come Enrico Ghezzi, da Aldo Nove, curatore dell’edizione italiana della raccolta di poesie Il senso della lotta, ai traduttori Annamaria Lo Russo e Sergio Claudio Perroni. Il tutto condito con la colonna sonora firmata da Morgan dei Bluvertigo.
Michel Over Nous, presentato ieri al Cinema Fratelli Marx di Torino, sarà riproposto giovedì 8 alle 20.30.
Che cosa vi ha affascinato di Houellebecq?
S:B. Nel 1999 lessi su “Panorama” un’intervista pubblicata in occasione dell’uscita di Particelle elementari. Il libro era presentato come un’operazione confezionata a tavolino per scandalizzare ed ebbi un rifiuto immediato. Qualche tempo dopo trovai su una rivista alcuni brani del romanzo che mi impressionarono. Lo divorai e stetti malissimo, provavo un’indicibile stretta allo stomaco. Sentiamo una grande sintonia con il modo di vedere la società di Houellebecq, soprattutto con quello della civiltà dell’immagine erotica: la conseguenza della liberalizzazione sessuale, legata a quella economica, è il depauperamento degli affetti. Non ho trovato nulla di simile nel cinema. Il progetto è nato per caso. Nel 2001 consigliai a Marco di leggere Houellebecq. Un anno più tardi mi propose il documentario. Il genere non mi interessava ma vinse l’attrazione per il tema.
Avete mai incontrato lo scrittore francese?
S.B. No. Dopo il processo si è chiuso molto e non rilascia interviste, quella montata nel documentario è anteriore alle vicende giudiziarie. Passa molto tempo in Irlanda ed è impegnato nella stesura del nuovo libro. Michelle Levy gli ha parlato del nostro progetto chiedendogli che ne pensava. Lui ha risposto: “In questo momento non ho opinioni”. Vedremo come reagirà alla visione…
Il documentario parla pochissimo del processo. Perché?
M.S. Non ci interessava cavalcare lo scandalo perché quello vero sta nelle sue pagine. Abbiamo dato priorità al discorso letterario piuttosto che all’aspetto ideologico e politico.
Tra le varie testimonianze l’unica non entusiasta è quella di Sergio Claudio Perroni, traduttore dei romanzi.
M.S. Sì. Per questo gli abbiamo dato tanto spazio. Apprezziamo Houellebecq ma a volte siamo in disaccordo con le sue dichiarazioni. In particolare, concordiamo con Perroni quando dice che dopo il successo dei primi romanzi si è un po’ adagiato. L’obiettivo del documentario è farlo conoscere, soprattutto in Italia. L’esigenza di raccontare il suo universo ha prevalso sulla sperimentazione. Ma non c’è nessuna intenzione celebrativa.
Le musiche sono di Morgan dei Bluvertigo. Come siete arrivati a lui?
M.S. Ci siamo rivolti a Elisabetta Sgarbi perché la prima versione della colonna sonora conteneva brani non originali di cui non avevamo i diritti. Lei ci ha suggerito il nome di Morgan.
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