SPIRO SCIMONE & FRANCESCO SFRAMELI


Dal teatro al cinema. Da “Nunzio” pièce teatrale scritta e messa in scena 8 anni fa con la regia di Carlo Cecchi a Due amici, opera prima alla Settimana della critica. I messinesi Scimone e Sframeli, classe 1964, autori e attori del teatro meno ufficiale, provano ora la regia cinematografica oltre a essere interpreti. Saranno la novità, la rivelazione italiana della Mostra? Le premesse ci sono in un film di intensa poesia, malinconico e tragicomico, una fiaba contemporanea che racconta le solitudini di due siciliani emigrati in una terra di nessuno.
Due solitudini opposte: Nunzio estroverso e ingenuo come un bambino e Pino adulto senza infanzia. Le loro esistenze sono condannate all’immobilità, al non cambiamento, anzi alla morte già affacciata nei loro mestieri. Non ci sono spiragli, neppure il cuore di una donna arriva in soccorso. Ma un gesto finale di riscatto, di ribellione è ancora possibile.

Non c’è il pericolo che “Nunzio” nella sua trasposizione per il grande schermo perda le qualità di allora?
Scimone. Teatro e cinema non sono separati, c’è tra loro continuità nel bisogno di raccontare storie e trasmettere emozioni. Noi partiamo da situazioni reali, ma non ci basta. Il cinema, il teatro, l’arte in genere devono andare oltre, perché solo partendo dal reale si può arrivare al surreale, alla fiaba, al sogno.

Quali difficoltà avete incontrato?
Sframeli. Abbiamo amato e odiato “Nunzio”, che per noi è come un figlio. Non volevamo fare una trasposizione cinematografica della nostra pièce, ma scoprire, sperimentare un nuovo mezzo. Il lavoro di scrittura è stato stimolante, perché il rapporto di questi due personaggi ci ha permesso di inventare altre situazioni. Il risultato finale è una storia cinematografica autonoma dal testo teatrale.

Quale è stato il contributo di Giuseppe Tornatore?
Scimone. Tornatore ha letto le nostre successive stesure, lasciandoci comunque carta bianca. Ha compreso fin dall’inizio che potevamo mettere in scena quella sceneggiatura con i nostri errori e con le nostre verità. Abbiamo elaborato alcuni suoi suggerimenti di uomo di cinema.

Che cosa avete chiesto al direttore della fotografia?
Sframeli. Blasco ti devi immaginare due emigranti in una città non riconoscibile, forse New York, Berlino, Milano. L’atmosfera è di vuoto e di assenza di sole, senza eccessi, usando la luce naturale. Abbiamo scelto Torino come set, privilegiando location che potessero confondere.

Il dialetto messinese, per una storia dalla lingua universale
SframeliLa lingua è quella costruita per il teatro, parole messinesi accuratamente scelte per dare ritmo e musicalità. Il testo è uno spartito, le parole sono delle note e devono creare un suono armonioso. Il messinese per comunicare le emozioni più profonde. Perché è la lingua che Nunzio e Pino parlavano da bambini, che li ha fatti crescere, che li unisce, che li riporta alla loro terra d’origine.

Kaurismaki, Kieslowski, Loach, De Sica sono i registi prediletti. Altri nomi italiani più recenti?
Scimone. Nanni Moretti, di cui amiamo la coerenza. E poi Soldini, Amelio, Tornatore, Bertolucci, Ciprì e Maresco. De Sica è il regista che più di altri riesce a sollevarsi dal reale, a creare insieme a Zavattini un universo linguistico.

Nel cast avete voluto attori di formazione e esperienza teatrale.
Sframeli.Non esiste l’attore di teatro o di cinema, esiste solo l’attore. Nella recitazione non sopportiamo il finto naturalismo. Niente ammiccamenti o compiacimenti, che tutto venga fatto con necessità.

Beckett, Pinter sono i vostri maestri.
Scimone. Innanzitutto Carlo Cecchi come attore e autore. Beckett è il precursore del teatro moderno e ci ha fatto capire come il male più grande della società sia l’angoscia del vuoto. Beckett non ha paura di pause e silenzi perché sono più loquaci delle parole. Nel teatro di Pinter teatro c’è questa costante minaccia dell’esterno, e il sottotesto, come nel nostro film, è più importante degli stessi dialoghi.

autore
01 Settembre 2002

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