VENEZIA – Nelle Notti Veneziane, Spaccaossa.
Il film di Vincenzo Pirrotta, anche interprete e co-sceneggiatore, insieme a Ignazio Rosato, Salvo Ficarra, Valentino Picone, con la magistrale fotografia di Daniele Ciprì, e la distribuzione italiana di Luce Cinecittà, è una vicenda che “mi accompagna da quando una notizia di cronaca ha conquistato i miei pensieri assumendo le fattezze di un cancro da espellere. Per farlo, sentivo la necessità di raccontarlo. Sia perché avveniva a Palermo, la mia città, e poi perché man mano che mi addentravo nella storia avvertivo la sensazione di compiere una discesa agli inferi. Mi colpì la storia della banda di delinquenti ma ancor di più̀ mi impressionò il mondo dei tormentati e afflitti che erano coinvolti e che venivano adescati; il più delle volte erano proprio loro a richiedere di farsi spaccare le ossa per motivi spesso futili o disperati”, spiega l’autore, con questo film all’esordio nella regia di un lungometraggio.
“La storia ha in sé il sangue, la carne, la tragedia del teatro antico, i tragici greci, un certo Shakespeare. Il rapporto con la tragedia è vivo e presente, anche per come ho girato certe scene: un confronto con la coralità, che richiama al coro greco. C’è molto teatro in un film con una doppia miseria: quella vestita di cinismo, dei carnefici, e quella dei disperati che si fanno spaccare le ossa”, spiega Perrotta.
Si sceglie di farsi spaccare le ossa, per esempio un braccio: un uomo (Ninni Bruschetta – Ciccio) ti sta dietro le spalle, con lo scopo di garantirti di restare fermo, stringendoti a sé, trattenendoti fronte e ventre; un altro (Vincenzo Perrotta – Vincenzo) stringe salda la tua mano, termine del tuo braccio teso, che poggia sopra una pietra; e dall’alto di un trabattello a mezz’aria un terzo fa cascare perpendicolarmente al tuo arto una valigia rigida e appesantita internamente. Poi c’è lo strazio del dolore, il tuo, che hai scelto di vivere quella tribolazione fisica atroce. Ma perché?
“Il film non giudica mai nelle intenzioni. Se lo fa lo fa solo quando in una canzone cantata da Giuni Russo, dice ‘o voi tutti che siete la strada…’ – anche ‘voi’ spettatori – ‘ditemi se questo non è dolore’. Non volevo giudicare ma mostrare nella sua asciuttezza e senza retorica un animo umano che ha in sé una metafisica spirituale. Cosa l’uomo è disposto a farsi mutilare per ottenere qualcosa? Così ho cercato uno sfondo: col maestro Daniele Cipri volevo la luce per una Palermo non solare, per avere una cupezza tenebrosa, per lasciare che lo spettatore uscisse dal cinema sapendo che questo accade, senza speranza. Il fatto è avvenuto nel ventre molle della mia città ma può avvenire in qualsiasi periferia del mondo” continua l’autore.
“Tutti ci chiedono perché il finale non dia speranza. In questo film la vicenda di cronaca è la scenografia, il nucleo sono i personaggi che colorano, ma anche noi spettatori che, appunto, dobbiamo rispondere alla domanda: ‘Cosa l’uomo è disposto a farsi mutilare per ottenere qualcosa?’. Forse siamo disponibili a farci spaccare la dignità per raggiungere un obiettivo, infatti tu vedi il film e non provi disgusto, un po’ perché appunto il film non giudica, ma anche perché è un film che parla di tutti noi”, commenta Salvo Ficarra.
Nel film, poi, Vincenzo incontra Macchinetta (Luigi Lo Cascio), sopran-nomen omen perché ossessionato dal gioco alle slot machine, a cui infatti sta giocando nel bar in cui il primo arriva con dei documenti da firmare, cosa per cui il secondo si rifiuta: “mi avete dato solo duemila euro maledetti”, commenta, suscitando tensione nell’altro, per cui: “I soldi non si maledicono, Macchinetta”. Tutta la conversazione avviene in siciliano, scelta che naturalmente rende più denso e reale il contesto, e che caratterizza tutto il film. Uscito dal bar e senza la firma, Vincenzo incontra Luisa (Selene Caramazza), giovane alternativa e disturbata da dipendenze, infatti qui alle prese in una discussione con uno spacciatore, questione in cui si mette subito in mezzo Vincenzo: il nero con la bustina “di roba” s’allontana e i due si scambiano qualche battuta e un saluto d’affetto amicale. “Luisa l’ho fatta mia come un piccolo animale selvaggio da proteggere. Nel film affronta delle fasi, come una Via Crucis e per lei un altro finale sarebbe stato un po’ andare contro corrente: decide di scegliere e trova la chiave di speranza per qualcosa di diverso”, spiega Selene Caramazza, che del rapporto del suo personaggio con Vincenzo dice: “Sono due anime che si incontrano, un reciproco appiglio, una speranza: Luisa ci prova, è più coraggiosa; si butta in questo rapporto, lotta per la speranza, non ricambiata da Vincenzo che non riesce a slanciarsi”. Per Ficarra, nel loro rapporto: “Ci vedo la ‘possibilità’ – che può passare per tutti noi – di riscatto attraverso qualcuno e a Vincenzo capita Luisa, una persona che sta facendo un viaggio difficile. Lui potrebbe aggrapparsi a questa occasione, ma non la coglie, o meglio la trascina a fondo con sé”. Infatti, aggiunge ancora Perrotta: “Luisa nella sua fragilità è alla ricerca di un appiglio, non ha più nulla in una sola notte. Vincenzo era l’unico che le faceva un sorriso: lei si aggrappa al sorriso pensando di essere innamorata di uno più grande di lei. Invece Vincenzo è l’opposto: ha una sua gentilezza d’animo ma è vinta dal rapporto morboso con la madre, lui non sa dire no alla madre. Vincenzo è l’uomo inutile, senza qualità, non riesce a prendere una decisione”.
Tra profano e sacro, anime gemelle della cultura meridionale italiana, vediamo dapprima Vincenzo massaggiare la parte inferiore delle gambe della mamma anziana (Aurora Quattrocchi) per favorirle la circolazione, mentre lei, al ritmo di una litania, sgrana il rosario e prega: eppure lei sa… infatti, come commenta Salvo Ficarra: “Lei ostenta un rapporto con la religione eppure non ha la minima esitazione ad affondare qualcun altro per salvarsi”.
Ci s’addentra gradualmente nella vicenda ma con sequenze consequenziali e dinamiche, infatti adesso Vincenzo e Cicco entrano – con la disinvoltura di “come se fossero a casa loro”, segnale di una frequentazione “famigliare” – presso la sede di un’assicurazione: incontrano Michele (Giovanni Calcagno). L’assicuratore gli conferma di aver incassato tutti i soldi – “…gli faccio cagare anche gli spiccioli”, precisa – e poi s’altera che Macchinetta ancora non abbia firmato…
Qualche dettaglio man mano lascia intuire l’andazzo: Vincenzo raggiunge l’uomo che s’era poc’anzi fatto spaccare il braccio; l’aspetta fuori da un ospedale, e Vincenzo gli passa una busta con del denaro e dice che “a pratica liquidata ti diamo il resto”. Presente un medico, compiacente alla situazione, s’evidenzia: per lui il referto del paziente è di “frattura scomposta al capitello radiale” e… un buffetto d’intesa sul volto conclude l’incontro.
Il film permette di rintracciare alcune ispirazioni cinematografiche, come conferma il suo autore che però afferma: “mi nutro a pane e Pasolini, mio nume tutelare, e se c’è un film tra tutti a cui mi sono ispirato è Accattone”.
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