Lottare, sopravvivere, esserci. Sono gli istinti primari dei giovani di borgata protagonisti di Et in terra pax, il film d’esordio di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, prodotto da Kimerafilm e Settembrini Film, che sarà distribuito da Cinecittà Luce dal 27 maggio dopo il successo alle Giornate degli Autori della scorsa edizione del festival di Venezia. Ma sono anche i primi e più immediati obiettivi del cinema italiano di qualità, che fatica a restare a galla in un momento in cui la produzione cinematografica di successo del nostro paese sembra limitarsi a commedie e prodotti di derivazione televisiva.
Luciano Sovena, AD di Cinecittà Luce, ci tiene a precisare: “Sono film come Et in terra pax che rappresentano davvero il nostro paese all’estero. La pellicola è stata accolta con tutti gli onori nei festival internazionali, a Tokyo, Copenhagen, Londra e Tarragona. E’ stata venduta in Francia. Da noi esce 8 mesi dopo rispetto al passaggio veneziano, a causa del rischio chiusura che Cinecittà Luce si è trovata a dover fronteggiare. Siamo l’ultimo baluardo, se chiudiamo noi chi distribuirà opere come questa? Per ora puntiamo su Roma, poi vedremo. Certo costruire un percorso per un film di questo tipo è difficile, c’è una censura di mercato e gli esercenti devono guadagnare, altrimenti smontano. Forse tra un po’ dovremo pensare ad andare in rete”.
Gli fa eco l’agguerrito produttore Gianluca Arcopinto: “Il film è costato 100.mila euro, perché molte maestranze – alcune delle quali provenienti dal CSC, da cui però la produzione del film è totalmente indipendente – non sono state ancora pagate. A costo industriale sarebbero stati 300mila €”.
“Per noi – rispondono il registi – il problema è culturale: la gente è bombardata da una tv invadente e al cinema non vuole scoprire nulla di nuovo, solo ritrovare quello che vede a casa. Ecco perché i film che hanno più successo derivano in un modo o nell’altro dal mondo delle trasmissioni televisive. Ad ogni modo – continuano – ci sentiamo ancora in colpa per non aver pagato i collaboratori, ma noi stessi finora non ci abbiamo guadagnato nulla. Speriamo che per il prossimo film, che sarà dedicato ad argomenti di cui si parla poco e spesso a sproposito, le cose andranno diversamente”.
I due, nel frattempo, possono se non altro godere dei meritati complimenti che costantemente gli arrivano per la forza della storia che hanno saputo raccontare ritraendo, con taglio a tratti pasoliniano (“non cerchiamo il realismo a tutti i costi”) il mondo alienante delle periferie. Tra i convincenti protagonisti, provenienti per lo più dal teatro, ci sono Maurizio Tesei, Ughetta D’Onorascenzo, Michele Botrugno, Fabio Gomiero e Germano Gentile.
L’ambientazione è il “serpentone” di Corviale, vicino Roma, un colosso di cemento lungo un chilometro situato su una collina in mezzo al nulla. “Ma la nostra intenzione – specificano i due registi- era di concentrarci sui personaggi, non sull’ambiente. Si parla romano, è vero, ma non mostriamo mai il Colosseo o altri monumenti che rendano il luogo identificabile. La nostra potrebbe essere una qualsiasi periferia, tanto che anche i giapponesi hanno riconosciuto nel nostro ritratto i loro quartieri più poveri e disagiati. Abbiamo comunque girato alcune scene in zone diverse, come Tor Bella Monaca o addirittura Ponte Marconi. Volevamo però raccontare una storia universale, tanto che già in fase di sceneggiatura il punto di partenza è stata la musica. Avevamo queste poche righe di soggetto e intanto ascoltavamo il passaggio di Vivaldi conosciuto appunto come ‘Et in terra pax’. Il titolo è poi rimasto attaccato al film. Giochiamo sul contrasto: musica sacra in un ambiente che più profano non si può”.
Un punto di svolta nella strutturata trama del film è appunto una profanazione, una violenza carnale tra le tante violenze quotidiane che i protagonisti infliggono o subiscono. “Volevamo concentrarci non sull’atto – dicono ancora i registi – ma sulle cause che possono portare a un atto del genere, con un occhio sempre alla psicologia dei personaggi. Non a caso la scena l’abbiamo sempre pensata fuori campo, non ci siamo censurati. Forse a Corviale una cosa simile non succederebbe, tutti si conoscono e tutti in qualche modo sono costretti ad accettarsi per sopravvivere. Magari le bande si picchiano, ma è uno di quei posti in cui puoi lasciare anche il motorino senza catena e ritrovarlo. Più che altro però, ci ha colpito molto il senso d’isolamento che si percepisce da quelle parti. Lo abbiamo rielaborato nel sonoro del nostro film: aerei che passano in lontananza, cani che abbaiano, vociare lontano…non c’è l’atmosfera festosa di un paese, ma tanta solitudine”.
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