Silvia De Santis


Uno di quei volti che non ti dimentichi. Un po’ sembra venire da un altro cinema: come Agostina Belli quando era adolescente, purezza e naturale sensualità. Con i colori, e l’intensità dello sguardo, di Laura Morante. Si chiama Silvia De Santis, ed è fra le protagoniste del film di Luciano Emmer Una lunga lunga lunga notte d’amore. Una specie di concerto da camera per strumenti al femminile. Storie di donne. Che s’innamorano, che se ne vanno via, che rimangono a mezza strada senza saper cosa fare.
Lei s’innamora di un radioamatore, nel film. O forse non è neanche un amore. E’ una di quelle volte in cui la speranza riesce a illuminare tutta la tua vita. Magari, riesce a farlo per poche ore, però lo fa.

Silvia, nel film suoni il pianoforte. E si ha l’impressione che tu stia suonando veramente. E’ così?
Sì: sono delle Variazioni su Schumann. Prima di recitare, mi sono diplomata al conservatorio Santa Cecilia di Roma. E ho studiato per dieci anni balletto classico, al Balletto nazionale di Roma.

Credi molto nella preparazione, nello studio, mi sembra di capire…
Penso che se non studi, puoi emergere per un colpo di fortuna, ma non sei destinata a durare. Ho studiato recitazione, mi sono diplomata all’Accademia Silvio d’Amico, e voglio lavorare, lavorare, lavorare…

Sei molto giovane. Forse qualche mese di più dei diciassette anni che hai nel film. Ma la pellicola di Emmer non è un esordio per te, vero?
No. Già tre anni fa ero stata coprotagonista della serie tv Il maresciallo Rocca; poi sono stata a Berlino due anni fa con Vuoti a perdere, diretto da Massimo Costa. E ho lavorato con Francesco Maselli, in Cronache del terzo millennio, presentato a Venezia. Con Maselli ho fatto anche un film per la tv, Il compagno, dal romanzo di Pavese.

Quali sono state le sfide più impegnative?
Recitare in altre lingue. Ho recitato in francese con Laetitia Casta in La bicicletta blu, e ho recitato in inglese in Love and War in the Appennines, diretto da John Harrison. Ma l’inglese è la mia lingua, io ho una doppia cittadinanza, e mia madre è inglese. Mi piacerebbe molto pensare che, per una attrice, l’Europa non avesse confini. E cerco, nel mio piccolo, di realizzare questo sogno.

Nel film di Emmer vengono fuori lunghi sguardi, un lato sentimentale, intimo della tua recitazione. E’ questo il campo nel quale ti senti più forte, è questa l’emozione che senti più vicina?
Sai una cosa strana? Ogni regista con il quale ho lavorato mi ha detto una cosa diversa. C’è anche chi ha pensato che andavo benissimo per l’horror! E questo mi fa molto felice. Penso che il lavoro dell’attrice sia quello di trovarsi sempre nuove sfide, nuovi personaggi, nuove emozioni da raccontare.

E ci riuscirà, c’è da scommetterci.

autore
15 Febbraio 2001

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