”Oggi è un problema fare un film del genere a Hollywood. Devi avere la sceneggiatura pronta, gli attori ai blocchi di partenza, farlo per un soldo di cacio e finirlo entro un anno”. Questo è quanto sosteneva Martin Scorsese a proposito di Silence in ‘Scorsese secondo Scorsese’, il celebre libro intervista realizzato da Ian Christie e David Thompson. Tredici anni fa. Già allora la trasposizione del romanzo di Shusaku Endo, sulla persecuzione dei padri gesuiti nel Giappone del XVII secolo, veniva considerata una maledizione. Non si riusciva a fare: “Io e Jay Cocks (sceneggiatore tra gli altri de L’età dell’innocenza e di Gangs of New York, ndr) abbiamo iniziato a lavorare allo script nel 1991. Ci chiedevamo come poter visualizzare prima sulla pagina e poi sullo schermo, attraverso le immagini, il libro di Endo. Ma non finivamo mai. Farlo è stato una lotta continua. Ci sono stati tantissimi problemi di natura finanziaria, giudiziaria, durante questi anni”. Quanto invece al lato artistico dell’operazione: “Nel corso di tutto questo tempo ho provato a capire meglio il libro, le sue idee e a comprendere meglio la mia vita e come era cambiata. In questo senso – sottolinea Scorsese – io e il romanzo abbiamo fatto un percorso in parallelo”.
Il lungo travaglio del film inizia quando Cecchi Gori acquista per Scorsese i diritti di sfruttamento cinematografico dell’opera nel 1990 che, per una ragione o per un’altra, viene continuamente posticipata. Al punto che la Cecchi Gori Group intenta nel 2012 una causa contro il regista per l’inadempimento degli accordi stipulati nel 2011 secondo cui dopo la riprese di Hugo Cabret il filmmaker italoamericano avrebbe dovuto lavorare a Silence. Una querela a cui gli avvocati di Scorsese rispondono immediatamente. Nel frattempo però i diritti del libro sono passati a Graham King, lo stesso producer di Hugo Cabret con cui, si mormora, Scorsese è in conflitto al punto da non voler più lavorare con lui. Gli interessati smentiscono, nel 2014 la stesura della sceneggiatura viene finalmente completata e la lavorazione può partire. A gennaio dello scorso anno però un incidente sul set a Taiwan provoca la morte di un operaio e il blocco della lavorazione. Si riparte qualche mese dopo, il film viene spostato a fine 2015, poi nel 2016, poi scompare dai radar per riapparire finalmente nei giorni scorsi, con la benedizione del Vaticano, dove Silence è stato presentato in anteprima lo scorso 29 novembre davanti a una platea di 400 gesuiti.
Una tappa a sorpresa, la prima di un possibile tour promozionale del film (che uscirà in America il 23 dicembre e da noi, con 01 Distribution, il 12 gennaio 2017), con Scorsese che è stato ricevuto in udienza privata da Papa Francesco prima di incontrare alcuni giornalisti, tra cui l’adnKronos in un albergo del centro di Roma. “Quando la lavorazione di un film dura 28 anni capita di partire con una certa idea di attori e poi di doverla abbandonare perché nel frattempo sono diventati troppo vecchi. Ci sono stati anche quelli che hanno detto di no, non se la sentivano. Così abbiamo deciso di fare dei provini. Andrew Garfield, che avevo già visto recitare in un paio di film, mi ha sorpreso a livello emotivo. Adam Driver invece lo avevo visto in Girls, il tv show, ed era strepitoso. Andrew ha fatto tutti e trenta i giorni di esercizi spirituali previsti dalla preparazione, mentre Adam Driver ha dichiarato di essersi sentito a proprio agio nella parte solo l’ultimo giorno di riprese”. Così Martin Scorsese racconta il complicato processo del casting. I protagonisti dovevano essere Daniel Day-Lewis, Benicio Del Toro e Gael Garcia Bernal, poi invece sono arrivati Andrew Garfield, Adam Driver e Liam Neeson.
Basato su una storia vera e ambientato nel Seicento, Silence ha per protagonisti due padri gesuiti mandati in Giappone per indagare sulla presunta apostasia di un loro confratello. I due padri riescono a entrare nel paese clandestinamente e iniziano ad amministrare i sacramenti ai convertiti di un povero villaggio di pescatori. Presto però vengono catturati e sottoposti a torture fisiche e mentali. Se non abiureranno, calpestando un dipinto di Cristo o della Vergine, altri cristiani verranno uccisi.
Silence rivela uno Scorsese più contemplativo e controllato a livello di messa in scena, come se per rappresentare il Giappone il regista avesse adottato alcuni stilemi tipici del cinema di quel Paese. “Il primo film giapponese che ho visto è stato I racconti della luna pallida di Mizoguchi – ricorda – così ho conosciuto i film di Akira Kurosawa e tutto il cinema giapponese. È evidente che tutte queste visioni sono state una fonte di ispirazione, ma non posso fingermi un regista giapponese! Ho pensato a un certo punto di mettere la macchina da presa ad altezza tatami, come nei migliori film nipponici, ma poi ho rinunciato. Però lo spirito di quella cultura, di quel cinema, sono stati sempre con me”. Tornando alla dimensione spirituale del film Scorsese afferma: “Il silenzio di Dio? In realtà non esiste, ogni silenzio fa rumore. Bisogna cercare una condizione ambientale in cui poter sentire il silenzio, scivolarci dentro piuttosto che respingerlo”.
Scontati i rimandi al presente, anche se Scorsese frena: “Fanatismo religioso? È solo una coincidenza che il film esca oggi. Ci sono, è vero, degli aspetti che possono avere un’eco nel mondo odierno. Tuttavia non ne farei un problema di religione. Questa cosa del fondamentalismo la si può affermare a proposito di tutte le ideologie”. Sono altre semmai le convergenze parallele per il regista italoamericano: “Il fatto che arrivi in America proprio mentre volge al termine l’esperienza dell’amministrazione Obama è curioso. Spero fortemente che la profondità di questa storia possa essere oggetto di riflessione, che aiuti a riconsiderare il significato della vita. In un momento in cui l’arroganza, quella stessa che raccontavo in The Wolf of Wall Street, sembra prendere il sopravvento”. “Non mi sarei mai immaginato che il film potesse uscire mentre accadevano certe cose in America. E, dopotutto, non mi sarei mai aspettato che certe cose potessero accadere in America”, aggiunge Scorsese riferendosi evidentemente all’elezione di Trump.
Qual è il volere di Dio? Perché resta in silenzio mentre tutte queste persone soffrono e muoiono? È lecito rinnegare la propria fede pur di salvare delle vite umane? Ed è giusto condannare un Paese che ha agito fondamentalmente per autodifesa? Sono solo alcune delle questioni spinose poste dal film. “Questa vicenda è basata su fatti storici. C’è stato un problema con l’evangelizzazione in Asia nato dalla scarsa conoscenza della cultura di quei popoli – argomenta Scorsese – Una delle questioni sollevate ha a che fare con l’arroganza di questi occidentali che volevano portare le loro idee in Paesi che ne avevano già di proprie. Quello che dobbiamo chiederci è allora: come ci si influenza a vicenda?”. Ancora più intricato il problema dell’abiura: “Quello che mi affascina dell’apostasia dei preti gesuiti in Giappone è il completo rifiuto di quello in cui credono, la determinazione necessaria a sopportare la totale cancellazione del dettato della loro fede. Tutto per salvare vite umane innocenti. Riflettendoci meglio, potrebbe addirittura trattarsi di un’esperienza di fede a un livello più profondo”.
“Il film affronta temi che mi stanno a cuore da sempre – dice Scorsese – sui quali ovviamente nel corso di questi 28 anni ho cambiato più volte idea. La religiosità è qualcosa che sento fin da quando ero bambino, ma una cosa è viverla a 10 anni, un’altra ancora a 30, un’altra ancora a 70. Sono passato dall’entusiasmo al rifiuto, poi di nuovo all’entusiasmo e dopo di nuovo al rifiuto”. “Quando ho letto il libro alla fine degli anni ’80, su suggerimento dell’arcivescovo Paul Moore, non sapevo che cosa mi avesse catturato. L’ho capito solo dopo, negli anni. E’ il modo – spiega Scorsese – in cui ci restituisce il dramma della condizione umana e il significato spirituale della vita”.
In futuro Scorsese tornerà però a lavorare con gli amici di sempre: “Robert De Niro vorrebbe che facessi con lui e Al Pacino The Irishman, un progetto basato su una storia realmente accaduta, che abbraccia tre decadi, dai ’50 ai ’70. Credo che riusciremo a raccogliere i fondi necessari”. The Irishman sarà basato sul romanzo I Heard You Paint Houses di Charles Brandt e avrà per protagonista il sicario della mafia Frank Sheeran, collegato agli assassini del presidente Kennedy e di Jimmy Hoffa. Al momento però il regista dovrà restare concentrato sul presente e affrontare la difficile campagna per gli Oscar, dove si presenta forte dell’approvazione del Nation Board of Review: l’autorevole ente no profit newyorkese ha inserito Silence nell’elenco dei dieci migliori film dell’anno.
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