VENEZIA – Durante i primi mesi della pandemia, quelli fatti di solitudine e timore sotto un rigidissimo lockdown che passerà alla storia, i nostri artisti non si sono fermati, ma hanno cercato l’ispirazione per raccontare le paure del nostro tempo. Tra i tanti instant movie, quello di Paolo Virzì, Siccità, presentato fuori concorso a Venezia 79, si configura come un film semi-apocalittico ambientato in una Roma in cui il Tevere è completamente essiccato, l’acqua è razionata e le blatte infestano ogni anfratto.
“Eravamo separati. – dichiara il regista, spiegando la genesi del film – È stata un’occasione straordinaria, dolorosa e vitale dal punto di vista artistico, che ci ha permesso di interrogarci su cosa vuol dire raccontare. Abbiamo avuto la stessa visione. Un futuro vicinissimo, Roma dopodomani, alle prese con un grande allarme. Non poteva che essere una storia collettiva. Ne è uscita una galleria di personaggi, che abbiamo provato a intrecciare, in un disegno che contenesse il segreto della salvezza possibile. Una salvezza che sta dentro la struttura del film. Queste solitudini di persone in affanno, alle prese con una disperata speranza, in fondo sono tutte collegate l’una all’altra. Ci sarà una salvezza se ci riconnettiamo. Il film è una preghiera laica aspettando la pioggia, la salvezza. Perché non si può raccontare senza speranza”.
Paolo Virzì, dunque, veste i panni di un messia. I suoi apostoli, veicolo del suo messaggio di speranza, sono i protagonisti della sua storia corale e, guarda caso, quelli citati nel programma della Mostra sono proprio dodici: Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Elena Lietti, Tommaso Ragno, Claudia Pandolfi, Vinicio Marchioni, Monica Bellucci, Diego Ribon, Max Tortora, Emanuela Fanelli, Gabriel Montesi e Sara Serraiocco. Quello che si propone allo spettatore è un “mosaico” di personaggi afflitti da diversi tipi di disperazione, andando a coprire ogni gradino della scala sociale, in un contesto relazionale sempre più disgregato e dispersivo. “Si racconta un mondo dove i lavori sono collassati – continua Virzì – non a caso i protagonisti facevano quasi tutti mestieri diversi. Hanno tutti avuto un passato migliore del presente. Un elemento che salta all’occhio di tutti è come le distanze sociali si siano accentuate. È la rabbia ad alimentare i conflitti, non è più la lotta gioiosa che ha nutrito la mia generazione, è una rabbia sorda che sembra portare solo all’autodistruzione, uno spirito reazionario. Il caos sociale che prima divideva i subalterni dai privilegiati, ora si manifesta secondo forme nuove”.
La struttura del film, al netto di pochi intrecci tra le trame, è quasi episodica, con queste piccole storie sullo sfondo di una doppia emergenza: la siccità e l’improvviso diffondersi di una grave malattia del sonno. A compensare lo spazio ridotto dei singoli personaggi sullo schermo e degli archi narrativi ridotti all’essenziale, ci pensa la grande caratura del cast, che nella maggior parte dei casi riesce a caricare di ironia anche i momenti peggiori. Brillano in particolare le prestazioni di Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli e il solito, splendido Silvio Orlando, nei panni di un carcerato gentile alla ricerca di redenzione per un errore passato. “Per me questo film si poteva chiamare anche ‘sete’, – afferma Orlando – perché parla della sete delle persone di tornare a una vita normale, di relazione con gli altri, di cose semplici, che viene un po’ negata oggi come oggi. Tutto viene mediato da qualcosa che rende inutile tutto quello che facciamo, diventiamo una moltitudine di individui alle prese con le proprie difficoltà”.
Siccità si prende il rischio del didascalismo e della frammentarietà, e lo supera offrendoci un quadro complesso del peggio della nostra società. Una rappresentazione inquieta di quello che abbiamo vissuto e di quello che potremo vivere, se non inizieremo a prenderci cura non solo del mondo che ci circonda, ma anche di noi stessi.
Il film sarà distribuito da Vision dal 29 settembre, dopo un’anteprima speciale in programma giovedì 22 settembre.
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