‘Shelter’ di Enrico Masi sorpresa ai festival primaverili

La storia di Pepsi, militante transessuale filippina, in pochi giorni ottiene la partecipazione a tre appuntamenti europei


Il nuovo film documentario di Enrico Masi, Shelter – Farewell to Eden, in pochi giorni infila la partecipazione a tre appuntamenti europei:  il Festival di Copenhagen (20-31 marzo), ossia il terzo maggiore appuntamento mondiale per il cinema documentario, dove il film ha la sua prima in concorso; lo storico Cinéma du Réel di Parigi (15-24 marzo), giunto alla 41ma edizione, che ospita documentari da tutto il mondo nella cornice del Centre Pompidou, dove Shelter viene presentato in Competizione internazionale; e il BFI Flare, a Londra (21-31 marzo) che sotto l’egida del mitico British Film Institute ospita il meglio della produzione internazionale a tematiche LGBT.

E notizia dell’ultim’ora, il film è stato nominato per il Doc Alliance Award che verrà presentato a Cannes quest’anno.Ogni anno i 7 festival più prestigiosi del documentario (Copenhagen, Dok Leipzig, Vision du Reel, Fid Marseille, Doc Lisboa …) selezionano un film ciascuno che concorre per il Doc Alliance Award, iniziativa che aumenta la circuitazione dei film e promuove la cultura internazionale del documentario. 

Coproduzione tra Italia e Francia, prodotto da Caucaso e Ligne 7 in collaborazione con Rai Cinema e Manufactory Production, il film di Enrico Masi uscirà nelle sale italiane nella tarda primavera, distribuito da Istituto Luce Cinecittà, che presenta anche all’estero la storia clamorosa di Pepsi, un’anima e un corpo in transito nell’Europa di oggi, una terra alle prese con un epocale movimento di esseri umani fuori e dentro i suoi confini, fisici e non solo fisici.

Shelter, distribuito da Istituto Luce Cinecittà, è la storia di Pepsi, militante transessuale nata nel Sud delle Filippine in un’isola di fede musulmana. Dal Mindanao alla giungla di Calais, Pepsi rincorre il riconoscimento di un diritto universale, vivendo l’odissea dell’accoglienza in Europa. Pepsi è un individuo in transizione alla ricerca di un impiego stabile come badante, dopo aver lavorato per oltre 10 anni nella Libia di Gheddafi come infermiera, prima di essere costretta a seguire il flusso dei rifugiati. Ha cambiato più volte nome. Nel film non rivela il suo, e decide di non mostrare il proprio volto. Il suo racconto diventa quello di una maschera, mentre lotta per la propria identità.Pepsi ha sostenuto il colloquio per la richiesta del diritto d’asilo a Bologna, dove ha ottenuto un primo riconoscimento. Non è riuscita a fermarsi.

Ha proseguito per la Francia, oltrepassando il passo della morte sulle alture di Ventimiglia, forte della propria esperienza nelle montagne del Mindanao, isola del sud delle Filippine. Raggiunge Parigi, dove acquisisce una seconda identità e trova lavoro clandestinamente facendo massaggi; e condividendo, dopo aver esplorato foreste, montagne, la ‘giungla’ di Calais, gli spazi interstiziali con rifugiati afghani, nigeriani, sudanesi, tra le architetture severe della metropoli.Il film è stato prodotto fra Sardegna, Emilia, Liguria, le Alpi Marittime e Parigi.Nel corso di tre anni, con un totale di quasi 90 ore di girato, oltre a materiale d’archivio e pellicole originali girate in 8 e 16mm, Shelter rappresenta il capitolo finale di una trilogia iniziata nel 2012, dedicata all’impatto dei ‘Mega Eventi’. Qui i temi centrali sono l’identità, le frontiere, il paesaggio e il corpo in transizione.Un intimo diario, nel quale il dramma personale si riflette all’interno di paesaggi naturali e suburbani, e può farsi riflesso di un dramma e una sfida collettivi.

“Il nostro interesse per Pepsi – dice il regista – si è manifestato in una piazza alla periferia di Parigi. L’impossibilità di riprendere il suo volto ci ha portato a costruire la narrazione seguendo i modi di un’antica parabola o di un mito. Per questo il mito d’Europa, con il rapimento e lo stupro di una giovane avvenuto in un’isola del Mediterraneo e compiuto da Giove, nelle sembianze di un toro bianco, ha trovato posto nel cuore della struttura narrativa. Shelter, in qualità di film e quindi di oggetto chiuso in se stesso, a sua volta corrisponde ad un rifugio, un luogo sicuro che custodisce la storia di Pepsi, ciò che lei ha voluto raccontare a noi, ciò che è accaduto sulla sua pelle. La strada che percorre si insinua in un territorio internazionale indistinto, tra il Nord Italia, le Alpi Marittime e Parigi, attraversando confini, città, montagne e foreste, in un medioevo tecnologico che supera la divisione tra natura e urbanità. Pepsi è cresciuta in un’isola del sud delle Filippine, all’interno di un movimento di combattenti d’ispirazione musulmana, da cui è fuggita, attraversando l’Asia e l’Africa per arrivare in Europa. Il suo cammino diventa un sussulto, un’emanazione del conflitto post-coloniale che si trasferisce, grazie alle sue richieste di riconoscimento identitario, nella decadenza lenta e inesorabile di un grande impero occidentale, in cui nuove culture mondiali penetrano e si assimilano. All’interno del documentario non vengono presentate tesi. La storia di Pepsi, narrata direttamente dalla sua voce, diventa corpo e azione seguendo i vari territori che ha attraversato. L’assenza del suo volto nella costruzione drammaturgica eleva la sua voce da racconto particolare a canto collettivo. Shelter è il terzo capitolo di una trilogia, dopo The Golden Temple (2012) e Lepanto (2016), dedicata alla resistenza e alla resilienza”.

autore
26 Marzo 2019

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