‘Sguardi al Femminile’. Marianna Fontana e la fortuna di ruoli guardati con occhi rivoluzionari

Una conversazione sul tema del femminile nel cinema italiano, moderata da Piera Detassis, con ospiti le protagoniste italiane di Locarno77: le registe Sara Fgaier, Silvia Luzi, e Adele Tulli; l'attrice di 'Luce', e Sara Serraiocco, interprete di 'Sulla terra leggeri'


LOCARNO – Dieci occhi, tre registe e due attrici, in cui intercettare gli Sguardi al Femminile del cinema italiano: una conversazione moderata da Piera Detassis, con le protagoniste che – dietro e davanti alla macchina da presa – sono nella selezione di Locarno77: Sara Fgaier (regista Sulla terra leggeri, Concorso Internazionale), Silvia Luzi (co-regista Luce, Concorso Internazionale), Adele Tulli (regista REAL, Concorso Cineasti del Presente), Marianna Fontana (attrice Luce) e Sara Serraiocco (attrice Sulla terra leggeri).

Detassis, presidente e direttore artistico dell’Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello, presenta l’incontro come “un’occasione tutta italiana al femminile, su un tema vasto, che ciascuna affronta a modo proprio”.

Il peso specifico del discorso non può prescindere da una riflessione di economia e sul sistema cinema, così Detassis propone alcuni dati di Lab Femmes de Cinéma, con riferimento all’ultimo report su gender gap e regie femminili, in cui si evidenziano le % di registe in Europa: in testa c’è l’Islanda – 37%; segue la Francia – 26%; poi si registra il 20% della Gran Bretagna; mentre noi ci attestiamo al 15% “un dato di oggi, in crescita negli ultimi tre anni”. Tra le altre info emerge quella che – con riferimento al nostro Paese – ci sia una difficoltà nella quota di regie femminili quando si arriva alla prossimità della produzione del terzo film, per cui la % di riuscita cala.

Piera Detassis passa la parola alle ospiti offrendo come spunto la riflessione su come i tre film italiani di Locarno77 siano “uniti da un discorso sull’immaterialità”, tema che permette alle registe in primis di argomentare se e quanto possa essere un filo conduttore e un trait d’union dello sguardo femminile del cinema nostrano contemporaneo.

Silvia Luzi lo dichiara subito: “non amo moltissimo fare specificità, tra sguardo femminile e maschile, come tra film e documentario, perché si sta parlando di ‘visione’; comunque, ‘immateriale’ è una parola giusta: quando c’è un’autrice donna si coglie una dimensione altra del racconto. Per Luce, l’immateriale è il film stesso, il concetto stesso, la luce appunto: è una dimensione di femminilità molto forte, non intesa come donna ma come un ruolo che sa opporsi al potere. La figura femminile ci insegna da secoli una resistenza possibile: è possibile dare più spazi, e pretenderli. Noi, come autrici possiamo essere coloro che rompono la regola della trazione: c’è un cartello maschile di grandissimi nomi attoriali che portano punteggi ministeriali ai finanziamenti dei film, capaci di aumentare i budget per fare i film. Credo ci sia una nuova generazione di autori, a cui noi apparteniamo, che – non per volontà di grandi rivoluzioni, ma anche sì – abbia la voglia e lo sguardo per raccontare altro, e il cambiamento non può che essere figlio nostro”.

Per Fgaier, il concetto di “immateriale” è “azzeccato come definizione per il mio film: un dialogo con l’invisibile del protagonista. Io ho scelto fosse protagonista un uomo – Andrea Renzi: mi interessava come punto di vista, è stato come un doppio salto mortale; però, se mai il film andasse bene, mi piacerebbe fare la stessa storia dal punto di vista di lei”.

Adele Tulli sente quella dell’immaterialità “una lettura interessante: il mio film si occupa del mondo disincarnato della Rete. Il titolo, REAL, contiene un punto interrogativo implicito: cosa è reale nell’universo digitale? È interessante trovarmi in questo panel, ed è difficile da autrice contestualizzare il proprio sguardo a partire dal genere: è una cosa complessa e allo stesso tempo interessante, perché viviamo ancora dentro corpi che hanno dei vissuti, e la società rende differenti i vissuti di donna e uomo, e qualcosa di comune – al femminile, in questo caso – c’è: una parte di esperienza del mondo ci accomuna e torna nei nostri lavori”.

Il discorso per le interpreti s’amplia anche a toccare la questione di pochi e non troppo interessanti ruoli scritti per le attrici, che spesso interpretano stereotipi, ma Sara Serraiocco va subito alla sostanza, indicando che “se in campo artistico non si può quantificare il compenso di un artista – sottintendendo la creatività non possa avere un valore oggettivo – è comunque un dato di fatto che il compenso femminile sia nettamente inferiore a quello che percepiscono gli attori: è una cosa molto triste, determinata anche dall’influenza che il ruolo femminile ha su un copione, quante scene (non) occupi. L’esordio di tante attrici alla regia credo sia anche una voglia mossa dallo scrivere per altre donne, per il bisogno attivo di un ruolo. Come attrice vieni sessualizzata o, dopo una certa età, puoi essere solo la madre o la moglie”. Per Serraiocco è più difficile in Italia fare l’attrice fuori da certi stereotipi “perché fanno parte nella nostra cultura. Io sono partita dall’interpretare i coming of age per poi crescere e rendermi conto che venissi sessualizzata, messa accanto a uomini anche più grandi, per non parlare poi della gravidanza, un altro discorso ancora: la mia maternità è stata vissuta dall’industria come un problema, non è stata detta una cosa esplicita ma… D’altronde, se per due anni – tra gestazione e primo anno del bambino – resti lontana, in un mondo in cui c’è una veloce fruizione dell’immagine, vieni dimenticata… E comunque, storicamente, l’attribuzione dei ruoli femminili di contorno viene dai più grandi, perché arriviamo da una traduzione patriarcale, è proprio un meccanismo culturale”.

Marianna Fontana concorda sia “difficile trovare ruoli e sceneggiature interessanti, il ruolo femminile viene sempre un po’ subordinato. Pensando a Luce, è stata un’operazione… interessante e io ho aderito per la tematica, ambientata in una conceria di sole donne… Succede che, con alcuni film, ci siano ruoli femminili della società che possono essere mostrati. Io ho iniziato a fare l’attrice a 18 anni, quasi dieci anni fa: ho visto un cambiamento, sì, e ora sto iniziando a prendere ruoli più maturi, per cui cambia l’approccio, lo sguardo. Sicuramente, ho avuto la fortuna di incontrare ruoli di donne guardate con occhi rivoluzionari: io sono stata fortunata, ma è sempre molto raro”.

 

 

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