Servillo: “io attore servile”


Lecce. L’attore Toni Servillo è uno dei protagonisti della 12° edizione del Festival del cinema europeo che si apre oggi a nella città pugliese e di cui CinecittàNews è media partner. L’omaggio a un protagonista del nostro cinema e teatro prevede: una retrospettiva completa dei suoi film, da Morte di un matematico napoletano di Mario Martone (1992) a Il gioiellino di Andrea Molaioli (2011); una mostra fotografica realizzata grazie ad alcuni celebri fotografi, a Teatri Uniti e alla Fototeca del CSC; la pubblicazione della monografia “L’attore in più” curata da Enrico Magrelli realizzata dal Centro Sperimentale di Cinematografia e dal Festival del Cinema Europeo, edita da Besa.

 

Di seguito vi proponiamo, per gentile concessione degli autori, alcuni estratti del testo ‘Il talento e la disciplina’, la conversazione che il curatore del volume Enrico Magrelli ha avuto con Toni Servillo.

Mi reputo un “attore servile” nel senso che intendeva Cesare Garboli, grande critico letterario, che in uno dei suoi libri più belli, ‘Scritti servili’, esprimeva il concetto di mettersi al servizio dell’autore del quale si era innamorato. Il mio lavoro di attore è al servizio di un mondo che è quello dell’artista con cui collaboro, regista o autore teatrale, e quella è la mia tana, sotto la quale mi nascondo e da dentro alla mia tana cerco di evitare narcisismi e mettermi invece al servizio del film. Non mi sono mai appassionato ad argomenti legati alla phonè perché non mi sono mai entusiasmato né avventurato come altri – e forse in questo faccio professione di modestia – nelle zone del non senso, di ciò che non significa (…)

La camera di Titta
Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino mi ha dato la straordinaria opportunità di accrescere ancora una volta quella consapevolezza creativa da metodo stanislasvskiano. Abbiamo girato nello stesso albergo dove alloggiavamo, dormivo in una camera identica a quella di Titta Di Girolamo, solo che ero al piano superiore. Lasciavo il personaggio al piano di sotto ma lo controllavo dalla mia camera di sopra, perché tutte le scene che giravo in quella camera, e ne ho fatte tante, avevano la stessa collocazione spaziale: il letto era lì, la finestra era lì, il bagno era lì; tutto era nella stessa posizione, quindi ho anche il ricordo di questa consapevolezza che si alimentava continuamente. Quando poi sono tornato a recitare a Treviso, dopo anni, ho voluto dormire in quell’albergo e ho ritrovato una famiglia: i fattorini, il direttore dell’albergo, le cameriere. Anche per loro quell’albergo – si chiama Continental – rimane l’albergo de Le conseguenze dell’amore, della solitudine di quell’uomo in quella stanza (…)

Il commissario di Molaioli
Dopo il bidello di Lascia perdere, Johnny!, esordio alla regia di Fabrizio Bentivoglio, arriva La ragazza del lago, altra esperienza molto importante, ho amato moltissimo il personaggio di questo film. Il commissario Sanzio è un personaggio di grandissima umanità. Anche se nessuno se ne è accorto, almeno al punto da dichiararlo apertamente, questo è stato il personaggio in cui ho fatto più smaccatamente uso, al cinema, della mia esperienza eduardiana. La sua figura si è alimentata di quella storia drammaturgica complessiva, che è tra le più compiute con le quali ho avuto modo di confrontarmi al cinema, nel senso della chiarezza con cui è sviluppato il racconto e della bellezza a tutto tondo degli altri personaggi. Quello di Fabrizio Gifuni, quello di Valeria Golino, quello di mia moglie, quello del matto sono la ricchezza del film. Questi incontri arricchiscono il mio personaggio (…)

Una simpatica canaglia
Sul mio personaggio in Gomorra ci siamo messi d’accordo subito, nel senso che Garrone è stato molto esplicito, ricordo che è venuto da noi in ufficio a Teatri Uniti e ha detto: “Tony, te va de fa’ ‘sta cosa con me? Voglio un attore, perché ho bisogno di questa recita, cioè ho bisogno che il personaggio più negativo del film sia il personaggio più simpatico e questo lo può fare solo un attore. Magari anche un non professionista ci riesce, ma…” Voleva un personaggio dinamico, sicuro di sé… Il compito che mi sono dato, cercando di rispondere a quello che mi chiedeva lui, è stato quello di fare un farabutto, però un farabutto felice nell’esercizio delle sue funzioni, sicuro che non ci sia alternativa alcuna al suo comportamento, uno che si sente pienamente legittimato a sostituirsi allo Stato. Quindi dovevo raccontare allegramente un disastro. Mi sono orientato guardando a certe canaglie di Gassman, di Tognazzi. Canaglie simpatiche, ma canaglie, squali, pescecani. In quel caso lì bisognava far sembrare che questa canaglia stesse facendo del bene. Non doveva avere nessun tormento, quindi dovevo rappresentare l’assenza totale di coscienza! Il nulla.

Ispirato dal congresso DC
Per evitare ne Il divo di Sorrentino le insidie di un’interpretazione mimetica, inevitabile per certi aspetti ma necessaria per altri, perché il personaggio lo conoscevano tutti, ho studiato della letteratura piuttosto che documenti audiovisivi. Ho letto delle pagine illuminanti di Giorgio Manganelli, inviato de ‘Il Corriere della Sera’ a seguire un congresso della DC, dove i democristiani erano Flaminio Piccoli, Amintore Fanfani. Manganelli diceva che in quella sala da congresso aleggiava un’atmosfera ferale, tra il curiale e il vedovile. Questi due termini possono orientare il comportamento di un attore, e io mi sono mosso come un vedovo e come un curato a seconda delle circostanze e dei personaggi che dovevo incontrare. Prima delle riprese, durante le sedute di prova del trucco, ho sviluppato il comportamento, la camminata, l’atteggiamento fisico, la voce, che è stata per me la parte più angosciante perché è la cosa più personale di un attore, è l’intonazione del suo strumento. Con il personaggio di Andreotti ho dovuto recitare con una voce che non è la mia. Ma è valsa la pena di fare tutti questi sacrifici (…)

Mazzini, il rivoluzionario sconfitto
All’inizio per Noi credevamo di Martone non sapevo come interpretare Mazzini. La tradizione ne ha fatto uno stereotipo, lo associamo alla toponomastica, alle strade, ai monumenti. L’obbiettivo che mi sono posto è stato innanzitutto quello di abbattere questo stereotipo. Ho costruito intorno a due aspetti principalmente: il rivoluzionario febbrile, che mette in mano ai giovani gli strumenti per compiere gli attentati, e lo sconfitto, l’uomo che finisce in miseria in una stanza ghiacciata di Londra. Nonostante fossero pochi momenti in cui comparivo dovevo cercare di far passare immagini che rompessero con la rigidità “statuaria” dello stereotipo (…)

autore
12 Aprile 2011

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