CANNES – Sergio Rubini è uno dei pochi protagonisti italiani nel Concorso di questo 74° Festival di Cannes. C’è anche lui infatti nel nuovo film della regista ungherese Ildikó Enyedi The Story od My Wife, tratto dall’omonimo romanzo del ’42 di Milán Füst. Si tratta di una epopea romantica coprodotta da quattro paesi, tra cui l’Italia con Palosanto Films e Rai Cinema.
Nel film Rubini interpreta Kodor, un personaggio ambiguo e sfuggente, che ha il merito di far iniziare la vicenda, suggerendo al suo amico Jakob Störr (Gijs Naber), capitano di lungo corso affetto dal “Mal del Marinaio”, di sposare la prima donna che entra nel bar in cui si trovano. “Lui crede che non gli cambierà nulla – spiega lo stesso Rubini – che saprà gestire questa cosa, il guaio è che a entrare è Léa Seydoux. Nasce una storia d’amore devastante che consuma il protagonista. È un film sull’inadeguatezza di ognuno di noi rispetto all’amore”.
Il personaggio di Kodor ricorre spesso lungo tutti i sette capitoli di cui è composta la pellicola. Un punto di riferimento costante che entra ed esce continuamente dalla vita del marinaio protagonista. “Mi capita spesso di fare personaggi loschi e ambigui – continua Rubini – ma francamente non mi sembra di esserlo. Al cinema mi capita di menare le mani, perché ti offre la possibilità di essere ciò che non sei. Evidentemente questi personaggi mi vengono bene. Il mio personaggio è l’anima nera del protagonista”.
A dirigerlo Ildikó Enyedi, vincitrice nel 2017 di un Orso d’oro con Corpo e anima. Su di lei l’attore ha solo parole al miele: “Conoscevo il film precedente della regista, mi sono trovato bene perché ha una visione molto artigianale del cinema. Un film per me non è un semplice prodotto da banco, è un’opera di ingegno, e l’idea che esistano ancora registi che vedono il loro come il mestiere dell’autore è un passo in avanti. Non va più di moda, i registi devono assomigliarsi, una mazzata terribile per chi è autore e ogni volta vorrebbe realizzare prototipi. Ildiko è così, è un’autrice, e questo l’ho subito riconosciuto, in lei ho ritrovato la passione e la partecipazione del cinema di qualche anno fa”.
Invece, sulla grande opportunità offerta da un progetto dalla grande dimensione internazionale: “Credo che il cinema serva a sprovincializzarci e avere l’opportunità di lavorare in un film internazionale e mischiarmi con altre culture e altre storie credo che sia una grande opportunità. Ha a che fare con la giovinezza e con la capacità di mettersi in ballo e in discussione”.
Infine, spazio a una bellissima cartolina, legata alla sua prima esperienza a Cannes, nel 1986, nel cast de L’intervista di Federico Fellini: “Ho tre aneddoti: il primo è legato all’arrivo in aereo, io ero molto intimidito e rimasi in disparte mentre gli altri scendevano le scalette con sotto i giornalisti. Fui preso per l’orecchio da Giulietta Masina, che voleva stessi con loro. Per cui ritornarono indietro per poi scendere tutti assieme. Per me era una zia buona. Poi ricordo Scorsese in ginocchio sulla scalinata di Cannes che aspettava Federico. Certo era piccoletto, quindi magari è una fantasia mia.
“Infine, – conclude divertito l’attore – ricordo che ero stato messo in una suite enorme e perfetta, e io ero certamente un provinciale non potevo sentirmi a mio agio. Per cui la prima notte ho dormito vestito sul letto perché mi sembrava che toccare qualcosa avrebbe rovinato l’armonia del letto. Se fosse entrato qualcuno avrebbe pensato che fossi morto. Lo dico con piacere, perché devo confessare che quasi mi dispiace essermi poi abituato ad entrare in una suite e non sentire quel disagio che ho provato la prima volta. Penso che sia un aspetto da salvaguardare”.
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