“Fare cinema come una jam session”. E’ la filosofia dell’imprevisto e del metodo da cui nasce Movimenti, opera prima dei critici/cineasti Serafino Murri e Claudio Fausti, entrambi 37enni, già video&soundmaker degli sperimentali Roma, disturbi nello specchio e Cahiers de voyage à l’absinthe (distribuiti dalla Light Cone di Parigi), simbiotici e intercambiabili nella scrittura, nella direzione degli attori, dietro la macchina da presa e nelle interviste.
E’ un film low budget girato a ritmo di jazz con 3 videocamere Sony PD 150, ibrido tra road movie, noir e commedia, concatenamento convulso di 7 storie, 25 personaggi, innumerevoli location in una Roma notturna catturata in 5 settimane di riprese.
Ma prima “l’orchestra” ha provato passando due mesi in un enorme pub della periferia romana trasformato in laboratorio attoriale. Tra gli animatori/protagonisti Cecilia Dazzi, Fabrizio Gifuni, Rolando Ravello, Gabriele Parrillo, Francesco Pini e Julia Sarano. Cuore pulsante dell’intreccio 4 amici di vecchia data che, rivelano le note di regia, “vivono una serata bastarda, una cavalcata notturna in smoking, in una sorta di terrorismo dandy”. Per i due registi un piccolo ruolo da deus ex machina: “siamo i ladri che derubano uno dei personaggi innescando una serie di reazioni a catena”. Movimenti, realizzato con la complicità del produttore Gianluca Arcopinto, sarà pronto in autunno, in tempo per le selezioni della Berlinale, “il contesto più affine alla sua estetica”.
Parlate di cinema come jam session. Perché?
Al centro del film ci sono gli attori, le loro performance e il lavoro compiuto per svilupparle. Parliamo di jam session perché tra gli interpreti ci sono continui passaggi, rinvii tra parti più corali a veri e propri assoli. Il workshop è servito a creare le giuste sintonie. Per 2 mesi abbiamo provato a partire da una sceneggiatura strutturata nei dialoghi ma non nelle azioni e rivista in corso d’opera. C’erano anche continue sovrapposizioni tra la vita e il set: così Rolando Ravello, che interpreta El Fantasma, un personaggio bizzarro, estraneo al nucleo centrale dei personaggi, è subentrato nella parte finale del laboratorio. Nessuno tra i partecipanti lo conosceva tranne quello che nel film impersona un suo amico. La rottura degli schemi della finzione è stata duplice: tra molti attori c’era un’intimità data da rapporti preesistenti, poi alcuni sono non professionisti a cui abbiamo cucito addosso i personaggi. Nel corso delle riprese c’è stata molta improvvisazione e tanti “incidenti di percorso”, incontri con figure strepitose che abbiamo coinvolto nelle scene.
Che cosa lega i vostri personaggi?
Fanno parte di quella generazione sepolta di 30/35enni che conduce uno stile di vita differente da quello dominante e non emerge nella retorica mediale. Volevamo uccidere il tipo – la casalinga, lo studente, il professionista – al centro di tanto cinema italiano così abbiamo dato vita a personaggi fuori dalla media, dolci e amari insieme, un po’ cechoviani: sembrano bambini non cresciuti ma ognuno di loro si è confrontato con una progettualità. Coltivano passioni demodé come la boxe, le corride e il jazz…
Ecco, il jazz. Che ruolo ha nel film?
E’ parte della colonna sonora, composta in contemporanea alla prove. C’è il jazz-blues eseguito dal trio Buster Keaton è Vivo, composto da Serafino Murri e dagli attori Francesco Pini e Gabriele Parrillo che – altro cortocircuito tra realtà e fiction – vestono i panni di musicisti dilettanti. Poi ci sono anche i suoni elettronici curati da DJ Zippetta (Alberto Iacovoni). La commistione tra i due stili corrisponde alla doppia anima dei personaggi: assolutamente moderni ma con qualcosa di romantico e anarcoide.
Non si può fare a meno di pensare a Faces di John Cassevetes…
C’è molto del Cassavetes di Faces e Mariti e del primo Godard. Sul set c’erano tre videocamere usate in modo da impedire agli attori di sapere se e come erano ripresi. Un espediente che li ha costretti a recitare con tutto il corpo. A noi ha permesso di “rubare” emozioni. Il furto è la chiave di questo cinema fatto di tante trame, ricco di un’umanità di cui si mettono a fuoco ossessioni, nevrosi, problemi ma senza applicare analisi da rapporto di polizia.
La vostra formazione da critici e cinèphiles vi ha indotto al gioco citazionista?
No. Ci sono piccole citazioni, omaggi affettuosi, ma nulla a che vedere con l’attitudine alla Tarantino. Ad esempio c’è una camminata che può ricordare Il terzo uomo.
Il film è una parentesi “di lusso” o pensate di cimentarvi ancora nel lungometraggio?
Siamo già al lavoro su una nuova sceneggiatura. Più classica nella narrazione, racconterà una storia ambientata su un’isola siciliana e ha qualcosa a che fare con Sotto il vulcano (John Huston, 1983 ndr).
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