L’anima è l’essenza di ciascuna creatura umana, l’anima è il cuore pulsante che scrive il ritmo narrativo del biopic che racconta Gianna Nannini: Sei nell’anima è titolo di uno dei suoi più celebri brani musicali, del suo libro autobiografico (Sei nell’anima – Cazzi miei, 2016), e ora del film, diretto da Cinzia TH Torrini, che ha scritto la sceneggiatura con Donatella Diamanti, Cosimo Calamini, e con la stessa Nannini.
Infanzia, ascesa non senza discesa, consacrazione, nascita e ri-nascita: la fuga a Milano subito dopo il liceo è il principio del racconto dell’essere umano, del talento, del simbolo Nannini, una personalità definita, un percorso esistenziale che alla venuta al mondo sembrava scritto sulle tracce della tradizione famigliare “provinciale, perbenista, tutta apparenza e zero anima” ma che spirito, eccellenza musicale e istinto hanno portato all’anno spartiacque, il 1983, che lei stessa considera la sua vera nascita.
“Non comprometterti mai, sei tutto ciò che hai”, scrive e ripete a se stessa, evocando Janis Joplin: Nannini è poesia e rivoluzione, trasformazione e libertà, dunque caricarsi del ruolo è cosa tutt’altro che banale, ma Letizia Toni s’è appropriata del personaggio con consapevolezza, restituendo una verosimile Nannini sullo schermo, complice anche una buona affinità estetica, una ricerca espressiva riuscita, nel sorriso così come nell’andatura e in certa gestualità, riconoscibili come proprie della rocker senese, “dettagli” che svettano nel più diffuso sapore generalista del film.
“Pensavo non si facesse, non riuscivano a trovare me, poi è arrivata questa forza della Natura. Mi sono venuti i brividi quando Cinzia mi ha mandato il provino in cui Letizia faceva L’urlo, da lì ho capito fosse quella giusta: ha affrontato un procedimento molto difficoltoso, per cui è stata insuperabile, non ci sarebbe stata un’altra al mondo. Il film l’ho rivisto per l’anteprima e cosa si può dire? C’ha qualche difetto, però: chi non ha difetti? Il fil rouge lo tiene tutto Letizia, ha introiettato tutto, non so come abbia fatto” commenta Nannini.
“Io avevo delle informazioni sulle quali potevo lavorare, che venivano un po’ da Gianna e un po’ dalla visione di Cinzia: ho dovuto capire le motivazioni (in particolare l’attrice si riferisce a quando Nannini sembra ‘impazzire’), per cui mi son chiesta: ‘impazzisce, in che senso?’, perché non si parla di patologia, la sua è una crisi psicologica che viene da una frattura interiore, da motivazioni che hanno a che fare con la sua vocazione, con il proprio io. Quando dal sistema discografico le sono imposti dei canoni, degli stereotipi – ‘devi fare una hit … devi essere pop … ‘ – lei sente che la sua identità si fratturi”, spiega Letizia Toni.
La cantante, riferendosi a uno spaccato specifico del racconto, dice: “avevo paura della pazzia perché quando sono andata a vivere a Milano ero anche iscritta all’università e cominciai a dare gli esami, uno di questi era Psichiatria: il professore chiamò una persona a descrivere la sua diagnosi, con noi studenti lì accanto; mi sentivo mortificata a prendere appunti su questa donna, che sembrava l’esclusa dalla società, e quando s’è alzata per andar via ci ha guardati e ha detto: ‘mica scrivete che son pazza? Perché io non sono pazza’, da lì poi ho scritto la canzone Maria Paola; mi interessava il caso, ma era anche una cosa che mi preoccupava, perché pensavo che avere questo problema potesse permettere a chiunque di approfittarsi di te e non c’è niente di meglio che far impazzire gli altri per controllarli”. Nello specifico, rispetto alla pressione della richiesta che lei creasse una hit, Nannini la commenta dicendo che “la hit è una cosa magica, un miracolo quando riesce, ma il mio manager era fissato, tanto che quando il film l’ha visto Will Malone ha detto che non si può chiedere a un’artista di ‘fare un’hit’, perché è una forzatura mentale; mi ha stravolta, era un martellamento, che Letizia ha rappresentato molto bene: dentro c’era un viaggio quasi iniziatico, e non era dettato dalla droga per cui diventi psicopompo e vai in altre dimensioni; io ci sono andata in queste altre dimensioni, però dopo mi hanno portato molta lucidità, molta luce. Sono passata dalle tenebre alla luce, e dopo sì, ho scritto un sacco di hit, ma senza pensare che lo dovessero essere”.
Toni, alla sua prima prova cinematografica di primo piano, s’è misurata con il biopic di una persona vivente, qualcosa per cui “all’inizio sentivo la responsabilità addosso, chiaramente, avevo paura. Conoscere Gianna è stato il passaggio fondamentale: lei ha annullato la distanza che si può creare, ha smitizzato tutto, oltre al lavoro che s’è fatto con il canto, per cui s’è messa totalmente a disposizione mia”.
Nannini voleva “che la storia fosse comunicata tramite Letizia, ma non autoriferita: non cercavo gli applausi del pubblico, è stata fatta per rispettare chi ha avuto un problema di natura simile, perché a un bivio ci troviamo tutti nella vita; l’apertura l’avevo già avuta un po’ col libro, per spiegare tutto quello che m’era successo; il libro precede Penelope, che nel film non c’è: insomma, per me era importante finire quella parte della vita, per poterne poi raccontarne un’altra. Senza questa nascita non ci sarebbe stata poi la seconda (della figlia), cosa specificata molto bene nell’album nuovo, sempre intitolato Sei nell’anima, per un motivo di assonanza di vita, ma anche perché mentre si faceva il film certe cose mi sono tornate al cuore. La libertà è una cosa difficile e bisogna avere rispetto anzitutto della parola: la usano tutti, ma non è una realtà di fatto. Nella vita io ho cercato di essere libera, il più possibile”.
Per Letizia Toni “ci sono tanti punti in comune con Gianna, un po’ il percorso e qualche dolore portato dalla nostra infanzia, la famiglia, i fratelli, gli incidenti, un po’ il modo di scappare di casa, seppur differente, ma anche io sono scappata da Pistoia, dai miei genitori che non erano d’accordo facessi l’attrice. Ci sono tante cose che ho sovrapposto e quindi le ho sentite molto a pelle, e mi hanno consentito di entrare bene nella psicologia e nel personaggio”, anche attraverso il canto, perché il film è tutto cantato da lei – tranne i concerti e il pezzo del funerale del papà: “io facevo lezioni di canto già da prima, per allenarmi come attrice, perché avevo il complesso che la voce non fosse abbastanza bella, poi ho fatto un lavoro specifico per entrare nella sua vocalità e studiare le sue caratteristiche, come le parti un po’ più rauche. Per il canto sono entrata nelle caratteristiche espressive toscane, per beccare l’apertura delle vocali e una serie di suoni tipici nostri: dal canto popolare ho recuperato molto e lì ho lavorato, non sulla somiglianza ma su una serie di radici comuni, che mi permettessero di sovrapporre le personalità”.
Cinzia TH Torrini racconta che “Gianna è introvabile, è sempre di qua e di là, ma la pandemia l’ha obbligata a stare ferma, quindi siamo veramente state con gli altri due sceneggiatori ore, ore, ore al computer, a sfruculiare, a farci raccontare aneddoti, a chiamare Mara Maionchi dal vero, a chiamare Carla (la compagna di Nannini), avendo davvero la possibilità di entrare dentro la storia. Io la chiamo ‘la poetessa’, perché lei riesce su carta – e poi con la voce – a far vibrare l’anima: il film uscirà in 190 Paesi, anche dove Gianna non è conosciuta, ma la sua storia è universale”.
Nel cast anche Selene Caramazza, Maurizio Lombardi, Stefano Rossi Giordani, Max Pisu, con la partecipazione di Andrea Delogu, che interpreta una giovane Mara Maionchi.
Sei nell’anima è prodotto da Indiana Production, disponibile solo su Netflix dal 2 maggio.
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Dal film family dell’autore nordico, un libro kids/teen a cura di Manlio Castagna e con le illustrazioni di Gianluca Garofalo, che anticipa e accompagna l’avventura su grande schermo, al cinema dal 14 novembre
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