SEGRE E VERONESI


Luigi Veronesi Il lavoro? Può diventare un’opera d’arte ma anche rappresentare l’inferno, la disperazione irrimediabile. È quello che la sezione veneziana Nuovi territori ha mostrato con Un giorno all’Olivetti – Visitando la fabbrica di Ivrea, documentario incompiuto del pittore Luigi Veronesi e con il lungometraggio Asuba de su serbatoiu (Sul serbatoio) firmato da Daniele Segre.
Un giorno all’Olivetti, girato fra il ’46 e il ’47 e restaurato dalla Fondazione Cineteca Italiana, mette in scena la realtà produttiva dell’impresa umanista di Adriano Olivetti, uno dei pochi industriali che in Italia ha avuto il coraggio di provare a realizzare nelle sue fabbriche un “sogno” che tenesse conto anche delle persone in quanto soggetti, e non semplici oggetti produttivi. Dominato dal silenzio totale – per tutto il mediometraggio non c’è un suono, una musica, una parola umana – comincia con delle lunghe carrellate sugli esterni dello stabilimento di Ivrea che solo apparentemente risultano “descrittive”. L’uso di un bianco e nero carico e sporco esalta in termini espressionistici quelle mura ed i luoghi. Poi gli interni: le macchine da scrivere sono riprese in primo piano come icone metafisiche non lontane dai così simili-così diversi vasi dei dipinti di Morandi. La macchina da presa si muove fra gli operai al lavoro, li rappresenta come scultori le cui mani si muovono secondo coreografie del tutto armoniose. Anche nei reparti dove si fonde il metallo necessario alla produzione – quasi degli antri mitologici di Vulcano – le persone risultano integrate, libere e “presenti” insieme. Così anche nelle più documentaristiche riprese successive in mensa, fra le case degli operai, per le strade di Ivrea, sui campi da bocce, nelle scuole.
Daniele Segre Ben diversi sono i contenuti e le forme del lavoro di Segre, che racconta in maniera cronachistica – anche se spesso altamente simbolica – la storia della Nuova Scaini di Villacidro. Questa fabbrica di batterie, per il 20% di proprietà dell’Agip Petroli, è stata il teatro della battaglia drammatica (durata più di tre anni) di 152 operai per garantirsi un futuro. La vicenda è conclusa il 26 settembre del 2000 dal licenziamento di tutti nonostante il viaggio a Roma di una delegazione per parlare coi vertici dell’Agip ed i funzionari del Ministero del Lavoro e dell’Industria. “In me esiste un’urgenza naturale verso le persone che hanno poca visibilità e per questo non riescono ad essere ascoltate”, ha detto Daniele Segre. E Sul serbatoio è un lavoro per nulla demagogico ed invece umanissimo, che racconta il dramma di questi lavoratori al di là degli schieramenti, delle ideologie, della demagogia. Il film esprime i suoi momenti più intensi quando riprende l’occupazione di un serbatoio di gas propano – detto “il bombolone” – da parte di sei operai che così cercano di sollecitare delle risposte da parte dell’azienda. “Non vogliamo garanzie, solo sapere”, ha dichiarato uno di loro alla telecamera digitale di Segre. Il serbatoio sembra il fortino de Il deserto dei Tartari, con le bandiere sindacali che sventolano in direzione del nulla più assoluto contro l’indifferenza, mentre gli occupanti – che indossano sul viso dei fazzoletti per non farsi riconoscere, quasi fossero dei banditi – appaiono cowboy disperati e disarmati.
Ed è struggente confrontare le successive riprese all’interno della fabbrica con quelle del film di Veronesi. A Villacidro fra i reparti non c’è più l’uomo, soltanto il vuoto, la morte, la sconfitta, la perdita della speranza.

autore
02 Settembre 2001

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