Sean Penn: “Ragazzi, fuggite dal benessere”


Un applauso lungo e scrosciante ha accolto l’ingresso di Sean Penn alla conferenza stampa, dopo che la proiezione del suo Into the Wild aveva già ricevuto una delle ovazioni più convinte sentite finora alla Festa di Roma. Occhiali scuri e qualche segno di una serata romana passata all’insegna del vino rosso  – “scusate, mi ha un po’ stordito”, dice –  l’attore tre volte candidato al premio Oscar ha scelto per la sua quarta regia di ispirarsi alla storia vera di Christopher McCandless e al libro di Jon Krakauer che ne racconta le vicende: “Nelle terre estreme”. La parabola di un ragazzo colto e brillante che, appena laureato, decide di abbandonare una famiglia benestante ma segnata  da rapporti terribilmente conflittuali per avventurarsi in un viaggio verso l’ignoto e non avere altra risorsa che la natura. Stufo di accumulare “cose su cose” e di seguire i modelli ipocriti imposti dalla società borghese, Chris – che nel frattempo si ribattezza “Alexander Supertramp” (Supervagabondo) – abbandona la sua vecchia macchina nel deserto, brucia il denaro che gli resta e si tuffa nella natura, scoprendone le meraviglie ma anche i pericoli. Per incarnare il giovane ribelle Penn ha puntato su Emile Hirsch – tra i giovani attori americani più promettenti, dopo le prove in Lords of Dogtown e Alpha Dog  -, e gli ha affiancato un “comprimario” di gran classe come William Hurt, che veste i panni del padre. Firma di lusso anche per la colonna sonora, realizzata dal cantante dei Pearl Jam Eddie Vedder.

Qual è il messaggio che vorrebbe dare con Into the Wild?
Negli Stati Uniti, e in Occidente in generale, siamo troppo dipendenti dal comfort. Con Into the Wild vorrei provocare nei giovani delle reazioni, spingerli a uscire dalla loro zona di comfort per inseguire il cambiamento e spingersi oltre il limite. Insomma far battere i loro cuori più velocemente. C’erano due elementi in particolare a cui mi interessava ancorarmi: la fuga dalla corruzione del mondo familiare e la ricerca di qualcosa, un posto in cui trovare la propria sintonia e celebrare la propria libertà.

Quella di Chris è un’avventura nel profondo della natura, ma anche una forte ribellione nei confronti della famiglia.
Non credo nel pregiudizio di sangue, non mi piace la tendenza a tollerare in misura maggiore i soprusi solo perché arrivano dai parenti. Tutto va guadagnato, ogni individuo deve essere pronto a fare qualsiasi cosa sia necessaria per cambiare pelle, per scoprire se stesso e prendere in mano la propria vita, anche se questo significa andare contro i propri genitori.

Quali sono le cose che la fanno più arrabbiare?
Ce ne sono un’infinità. La rabbia per me è come un combustibile, anche se spero che l’ispirazione creativa venga anche da altro. Probabilmente l’elemento che in me produce una reazione maggiore è la stupidità.

Di questi tempi ci sono molti film americani a tema politico, anche qui alla Festa. Sa spiegarsi perché?
E’ facile capirlo, con quello che succede nel mio paese… Bruce Springsteen, in uno dei suoi recenti concerti, ha detto che noi americani abbiamo fatto tanta strada, ma ora stiamo tornando indietro.

Perché ha puntato su Emile Hirsch?
L’ho visto nei suoi film precedenti e mi piaceva, anche per il suo modo di muoversi. Avevo bisogno di un attore che avesse la volontà e la determinazione necessarie per passare 8 mesi in quelle circostanze proibitive, che fosse disposto a mettersi in gioco. A film finito posso dire che è stata la miglior scommessa che abbia mai fatto.

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24 Ottobre 2007

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