ROMA. “Abbiamo finito di girare il film un anno prima degli scandali di Weinstein, quindi non ne abbiamo parlato” dice il regista Matt Tyrnauer durante la presentazione di Scotty and the secret history of Hollywood alla Festa di Roma.
Eppure il suo documentario, presentato in anteprima al Toronto Film Festival, tocca un tema caro alle cronache attuali, quello degli scandali sessuali di Hollywood, tirato in ballo dalle accuse al magnate del cinema statunitense Harvey Weinstein.
Di senso opposto, spiega il regista, sono state le relazioni consensuali di Scotty Bowers, celebre gigolò delle star del cinema americano, che ha raccontato l’altra faccia dell’età dell’oro di Hollywood, prima nel memoir best seller “Full Service” (2012) e poi alle telecamere di Matt Tyrnauer.
Cresciuto in Illinois, Scotty ha prestato servizio con i Marines durante la Seconda Guerra Mondiale e nel ‘46 è arrivato a Hollywood. Da poco assunto come benzinaio nella stazione di servizio vicina agli Studios, Scotty ha attirato l’attenzione dell’attore Walter Pidgeon, con il quale ha avuto numerosi incontri a scopo sessuale. Da allora la vita di Scotty è cambiata e, grazie alla sua avvenenza e alla sua disponibilità, è diventato amico e concubino di moltissime star di Hollywood, sia uomini che donne, per i quali trovava, all’occorrenza, partner sessuali nella sua cerchia di amici giovani e in congedo.
I segreti e gli aneddoti intimi su star del calibro di Cary Grant, Katharine Hepburn, Spencer Tracy, Lana Turner e Ava Gardner sono raccontati in prima persona da Scotty Bowers, ormai novantenne, “senza sensi di colpa – afferma il regista – perché i protagonisti dei suoi racconti sono quasi tutti scomparsi”. Motivo per cui, Scotty ha aspettato decenni per confessare in un libro la storia della sua vita.
“A quei tempi (erano gli anni ‘50) i principi puritani imponevano alle persone famose di nascondere le proprie abitudini sessuali, per non smentire la morale ufficiale diffusa da Hollywood – spiega Tyrnauer – Hollywood a quei tempi era un laboratorio di sperimentazione e di libertà e Scotty, in qualche modo, ha contribuito a creare un clima di apertura, prima di Stonewall”.
Nei racconti del protagonista, infatti, emerge la tensione che si respirava negli Stati Uniti prima della nascita del movimento gay, associata simbolicamente ai moti di Stonewall di New York, in un Paese ancora permeato dalla morale vittoriana.
Come un filo rosso che attraversa tutta la seconda metà del Novecento, Scotty Bowers, tramite il suo lavoro inusuale ed eccentrico, ha determinato, a suo modo, la liberalizzazione dei costumi sessuali, confrontandosi con tutti i diversi momenti storici, compresa l’ondata di Aids negli anni ‘80.
“In qualità di regista omosessuale, per me era davvero importante raccontare il contesto storico degli eventi e collegare la storia di Scotty alla liberalizzazione dei costumi e alla nascita del movimento gay, di cui il nostro protagonista è un eroe non riconosciuto” ha detto Tyrnauer.
“Ho conosciuto la storia di Scotty Bowers tramite lo scrittore Gore Vidal, che me ne ha parlato per la prima volta – ha detto il regista, che all’epoca era il responsabile dei suoi diritti letterari – Gore mi ha detto di aver conosciuto Scotty nel suo ‘ufficio’, alla stazione di servizio dove lavorava, confidandomi che in poco tempo era diventato il suo ‘pappone’”.
La storia di Scotty e dei personaggi illustri che gli hanno gravitato intorno per tutta la vita è raccontata da Tyrnauer con empatia e senza obiettivi polemici, ci tiene a precisare il regista.
Il documentario, mentre ripercorre mezzo secolo di storia americana, racconta con le immagini la vita privata di Scotty dalla sua infanzia a oggi, con leggerezza, perché, commenta il regista, “Scotty ha sempre fatto la vita che ha voluto”. Così Scotty, senza prendersi troppo sul serio, narra gli abusi sessuali subiti da bambino ad opera di un vicino di casa, i ricordi della fattoria durante la Grande Depressione, le avventure nella Marina Militare, i vari mestieri che ha svolto come operaio, muratore, giardiniere, barista, traslocatore e, ovviamente, benzinaio, i suoi due matrimoni, la perdita del fratello in guerra e della figlia per un aborto, gli anni d’oro a Hollywood e gli ultimi anni a Los Angeles da accumulatore seriale di oggetti e cimeli, stipati nelle sue due case e in varie cantine comprate appositamente.
“Di Scotty volevo mostrare la sua narrazione, la felicità che, come un mantra, dice di aver diffuso tra chi lo frequentava, la sua vita produttiva, seppur anomala, senza analizzare i suoi racconti”.
“Scotty amava i grandi volumi, l’abbondanza. Siamo molto diversi io e lui: Scotty non è analitico, è un uomo diretto, è e basta, senza farsi troppe domande – ha concluso il regista – e poi ha un grande spirito di resilienza”.
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