Scorsese: “Dai Taviani emozioni profonde”

Martin Scorsese ha presentato con parole piene di venerazione la versione restaurata di San Michele aveva un gallo, film del 1972 dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani


“Alla fine degli anni 70, Paolo, Vittorio, Lina e Carla sono stati così affettuosi con me, mi hanno accolto in Italia e mi hanno aperto le loro case. Sono stati pazienti, ospitali, dei veri amici, quelli che ho passato con loro sono stati i migliori momenti della mia vita”. Martin Scorsese, sul palco della Sala Sinopoli, presenta con parole piene di venerazione la versione restaurata di San Michele aveva un gallo, film del 1972 dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, restaurato dal Centro Sperimentale di Cinematografia Cineteca Nazionale con Istituto Luce Cinecittà e la Fondazione Cinema per Roma. In sala ci sono Paolo, con Lina e la vedova di Vittorio, Carla, insieme ai figli, ma tocca al regista americano introdurre la proiezione a una platea di studenti di cinema, venuti ad ascoltare le sue parole di cinefilo appassionato e sempre stimolante. “Il cinema italiano – spiega Scorsese, che l’altro giorno aveva tenuto una affollata masterclass qui alla Festa – ha avuto un ruolo fondamentale nel farmi diventare un cineasta, non so se lo sarei diventato se non avessi visto De Sica, Rossellini, De Santis, i neorealisti, film importanti nella mia formazione. Quei film non mi hanno più lasciato, sono diventati parte della mia vita. Padre padrone è uno di quei film, ricordo quando vinse la Palma d’oro a Cannes assegnata dal presidente di giuria Rossellini. Dopo di allora ho recuperato anche i loro film precedenti, e poi li ho visti tutti fino a Cesare deve morire“.

Scorsese è fluviale nel raccontare il suo amore per i fratelli toscani: “Ogni volta che vedo un loro film mi emoziono profondamente. Il loro lavoro è diverso da qualsiasi altra cosa. È moderno, nuovo, unico, ha un’oggettività che ti fa stare contemporaneamente dentro e fuori. Kaos, Il prato, La notte di San Lorenzo, Allonsanfan e poi San Michele aveva un gallo, tratto da Tolstoi, che ha un punto di vista politico ma non didattico e traduce il conflitto politico in termini puramente umani”.

Poco prima, rispondendo alle domande degli studenti, accompagnati dal professor Andrea Minuz, aveva sostenuto l’importanza di dare spazio ai giovanii: “In Italia ci sono giovani cineasti straordinari, ma che sostegno ricevono? I film devono essere visti al di là dei computer. Si possono fare film ma devono essere visti perché il resto del mondo deve farne esperienza. Hollywood non è più come quella in cui lavoravo da giovane. I blockbuster non sono cinema, sono come i parchi a tema… È stata come la fine dell’Impero Romano, una decadenza. Anch’io ho dovuto fermarmi, ho perso ogni sostegno e ho dovuto ricominciare da capo con Fuori orario a budget contenuto”.

E ha aggiunto: “Non lasciate che la nuova rivoluzione industriale distrugga la spinta iniziale del cinema come arte. Questo deve venire dal sostegno di coloro che hanno il potere oppure i giovani devono protestare per garantire che vi sia”. Tra le curiosità dei giovani spettatori anche l’incontro con Akira Kurosawa: “Mi ha dato dieci minuti, io parlavo velocissimo per non perdere tempo e lui mi guardava immobile, con l’orologio sul tavolo per assicurarsi che fossero proprio 10 minuti. Dopo anni ha chiesto a Coppola di contattarmi per il ruolo di Van Gogh in Sogni perché era rimasto colpito dal mio vigore”. E racconta delle prove che fa prima di girare, anche con gli attori più rodati. “Per The Irishman ci siamo seduti con De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, con cui ci conosciamo da decenni. Parliamo sempre tanto. Qualcuno ha un’idea e la buttiamo già. Mi piace tenere aperto il set, si tratta di riempire spazi vuoti”. 

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24 Ottobre 2018

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