VENEZIA – Un film processuale sulla pagina più vergognosa della storia argentina, quella della dittatura militare e del genocidio degli oppositori raccontato con uno stile a tratti anche di commedia (“l’umorismo è catartico”, afferma l’attore protagonista Ricardo Darin, che si candida per la Coppa Volpi), per alleggerire una materia davvero incandescente a tanti anni di distanza. Argentina, 1985 si svolge appunto nel 1985, due anni dopo la fine del regime di Videla, quando la democrazia da poco rinata decide di intraprendere un processo contro i generali golpisti, nell’ostilità non solo dei processati ma anche di una parte dell’opinione pubblica, con una polizia ancora collusa, istituzioni che non collaborano, un governo debole e titubante.
“Un paese senza giustizia è un paese senza libertà. Questo processo è un fatto molto importante per l’Argentina, di fatto ne inaugura la democrazia. E secondo noi il cinema doveva raccontare questa storia e siamo orgogliosi di averlo fatto per primi e di poterla presentare al mondo. Forse bisognava aspettare del tempo per farlo”, afferma Santiago Mitre, che con questo film è in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Mentre la dittatura è stata più volte narrata dal cinema, sia di finzione che documentario, questo processo, paragonabile per certi versi a quello di Norimberga, era ancora inedito sullo schermo. Il regista si è ispirato alla vera storia dei procuratori Julio Strassera e Luis Moreno Ocampo ai quali venne affidata la pubblica accusa: avevano tempi strettissimi per raccogliere prove inoppugnabili contro responsabili che erano già stati prosciolti da un tribunale militare. La versione ufficiale dei criminali era che torture e omicidi, anche ai danni di bambini e donne incinte, erano eccessi perpetrati da alcuni militari – all’insaputa dei vertici – all’interno di una guerra inevitabile contro il terrorismo comunista. Servitori della legge e convinti della necessità di un regolare processo, Strassera (Ricardo Darin) e il giovane vice pm Moreno Ocampo (Peter Lanzani), rampollo di una famiglia di militari (la mamma andava a messa con Videla), formano un team legale di ragazzini appena laureati, gli unici disponibili ad affiancarli, e cominciano a percorrere il paese alla ricerca di testimoni. Le minacce si susseguono, anche contro le rispettive famiglie, ma loro riescono a trovare 833 testimoni oculari disposti a raccontare a nome dei 30mila desaparecidos e le testimonianze sono certamente tra i momenti emotivamente più forti della narrazione. “Questo è un film sulla fragilità della democrazia. Non vi è democrazia senza giustizia e nel mondo in cui viviamo possiamo vedere chiaramente quanto questo sia vero”, aggiunge il produttore Axel Kuschevatzky (il film è targato Amazon).
Un tema di estrema attualità, anche alla luce dell’attentato fallito ai danni della vicepresidente argentina Cristina Fernández de Kirchner: “Quando c’è stato questo attentato – spiega il regista – eravamo in volo per raggiungere Venezia. È stato uno choc per tutti noi venirne a conoscenza quando siamo atterrati. Un evento assolutamente orribile che non pensavamo potesse succedere. Noi credevamo effettivamente che il processo del 1985 avesse potuto porre fine alla violenza come mezzo per risolvere conflitti politici. È qualcosa contro cui ci opponiamo fermamente. Pensavamo che quel ‘nunca mas’, pronunciato da Strassera in tribunale, ovvero ‘mai più’, potesse essere duraturo. Non eravamo preparati a questo. Non ci aspettavamo una cosa del genere”, prosegue Mitre, autore di film apprezzati come La patota e Il presidente.
“Ricordo ancora – racconta – il giorno in cui Strassera formulò l’atto di accusa: il boato dell’aula del tribunale, l’emozione dei miei genitori, le strade finalmente in grado di festeggiare qualcosa che non fosse una partita di calcio, l’idea di giustizia come un atto di guarigione. Il processo del 1985 permise alla giustizia argentina di riconoscere e rivendicare un diritto a lungo negato. Nel corso delle mie ricerche mi sono imbattuto in aspetti sconosciuti della vicenda: il retroterra dei procuratori, il giovane team senza esperienza… Questa storia mi ha toccato profondamente, accendendo in me il desiderio di fare un film sulla giustizia e di approfondire le ricerche cinematografiche e politiche come non avevo mai fatto nei miei film precedenti, questa volta sulla base di fatti realmente accaduti”.
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