Risale al 1985 la conoscenza e poi l’amicizia di Sandro Veronesi con Nanni Moretti. Era l’anno del suo trasferimento a Roma, ospite nell’appartamento di Vincenzo Cerami, che abitava di fronte alla casa di Moretti. Quasi un anno di incroci reciproci più o meno casuali tra il regista e lo scrittore, finché è arrivata la lunga frequentazione. E ora finalmente il regista ha indossato i panni di Pietro Paladini, l’uomo senza volto perché mai descritto dall’autore nel suo romanzo “Caos calmo”, premio Strega nel 2006 e 200mila copie vendute.
Gli sceneggiatori del film di Antonello Grimaldi, per bocca di Francesco Piccolo, dicono di avere amato moltissimo il romanzo e di aver scavato dentro la spina dorsale del racconto, rintracciando la trama elementare del libro e costruendo il personaggio di Paladini su Moretti. “Il film è una riduzione, perciò abbiamo cercato di rendere l’opera cinematografica il più semplice possibile”, avverte Piccolo. Chissà se l’autore del libro ne è contento.
Veronesi come giudica il lavoro svolto dagli sceneggiatori Piccolo, Paolucci e Moretti?
Quando si fanno film da romanzi l’importante è riuscire a trovare il cinema dentro il romanzo. E’ quello che hanno fatto gli sceneggiatori con un’arma risolutiva quale la semplicità. E’ accaduto allora che hanno ricavato una scena di grande cinema, quella di genitori e figli al loro primo giorno di scuola, che nel mio romanzo occupa pochissime righe.
Ma non crede che il protagonista Pietro Paladini sia a volte prigioniero del personaggio Moretti?
Non se si tratta di morettizzazione, so però che ci guadagno un film con Moretti e siccome i film con e di Moretti li ho amati tutti, per me va bene così. Non so proprio che cosa sarebbe accaduto se Caos calmo fosse stato smorettizzato.
E’ vero che “Caos calmo” all’origine nasce come soggetto cinematografico?
No, in verità cercai di scaricarlo ad altri perché all’inizio mi faceva molta paura affrontare quel tema in quel momento della mia vita e in un romanzo che mi avrebbe impegnato molto tempo ed energie. Mi faceva un po’ paura affrontare quel lavoro. Così provai a parlarne a Nanni e a mio fratello Giovanni, ma entrambi mi dissero di non fare il cretino e di mettermi subito a scrivere il romanzo.
Che anno era?
Poteva essere il 2000, ricordo che era l’anno in cui Moretti stava lavorando a La stanza del figlio.
Qualche anno fa un altro suo romanzo, “La forza del passato”, è stato portato sul grande schermo da Piergiorgio Gay. Allora come si comportò?
Anche per questo film scelsi di non partecipare alla sceneggiatura, tenni lo stesso comportamento di “appoggio esterno”, direbbe un politico andreottiano. Questa scelta è dovuta a più ragioni, prima fra tutte il mio trasferimento a Prato e quindi logisticamente sarebbe stato di per sé un problema seguire il lavoro di scrittura cinematografica.
E poi perché?
Come ho detto in conferenza stampa non mi considero un bravo sceneggiatore, sono un po’ pippa. E soprattutto non è bene mai per uno scrittore sceneggiare i propri romanzi per il cinema. Credo che sia meglio farsi da parte e non ingombrare con la scusa di essere l’autore del libro.
Una lezione che ha imparato da Alberto Moravia?
Moravia l’ha scritto e riscritto. E a me l’ha detto di persona, perciò lo considero un suggerimento ancora più prezioso. Non ci si deve mai dimenticare che il romanzo è di proprietà dello scrittore e il film è invece un’opera autonoma del regista. In più questa volta sono molto contento che il personaggio di Pietro Paladini sia di proprietà di Nanni Moretti.
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