PESARO. Unico film italiano in concorso, Un consiglio a Dio è il secondo lungometraggio firmato Sandro Dionisio. Napoletano, classe 1959, musicista, drammaturgo e sceneggiatore, oltre che regista, Dionisio si è diplomato al Centro Sperimentale. Prima di esordire dietro la macchina da presa, negli anni ’80 è stato voce e anima del gruppo pop Panoramics e ha svolto il suo apprendistato cinematografico collaborando con De Santis, Amelio, Marco Risi, Loy, Rosi e Martone.
Se il suo primo lungometraggio, La volpe a tre zampe, risale a dieci anni fa e sta per uscire solo ora sugli schermi, il nuovo Un consiglio a Dio – docufiction sul tema dei migranti con un inedito Vinicio Marchioni – è un’analisi del reale in bilico tra il lirico e il grottesco, tratta da un monologo teatrale di Davide Morganti, Nel film, ancora in cerca di distribuzione, il protagonista è un uomo solo, perso nella notte su un litorale italiano ingombro di rifiuti e di escrementi, intento nel suo faticoso lavoro: recuperare i corpi degli extracomunitari naufragati sulle nostre
coste nel loro viaggio della speranza.
Perché ha deciso di portare sullo schermo proprio “Il trovacadaveri”?
Quando l’ho visto per la prima volta a teatro a Napoli mi è sembrato subito un lavoro che mi potesse spingere a un’indagine interessante. Così ho deciso di farne un film, rielaborando in piena libertà creativa il testo di Morganti. “Il Trovacadaveri” possiede una crudezza e una bellezza che evocano un controcampo, dei fantasmi. Con Un consiglio a Dio ho voluto dare corpo ad essi sullo schermo.
Il film è composto da una parte di finzione e una documentaristica. Prima di girare aveva una sceneggiatura precisa?
Avevo una griglia ben precisa in testa, ma poi mi sono lasciato comunque guidare dalle persone che ho intervistato, dalle loro storie. Ho girato prima la parte del monologo di Vinicio, di notte, sulla spiaggia, e dopo la parte documentaria con tutte le interviste. Il montaggio in seguito ha riscritto la sceneggiatura e tutta la struttura del film.
Nel film vediamo un Marchioni inedito, che recita in napoletano. Perché l’ha scelto?
Ho visto subito in lui una rara versatilità e una grande umanità. Ha aderito al progetto in maniera totale ed è facile poi seguire una strada nuova se c’è lo spirito giusto. Il testo che gli ho dato presentava già degli echi dialettali e lui come regalo mi ha fatto un’interpretazione stupenda con una lingua molto credibile.
Oltre al materiale da lei girato, nel film utilizza anche immagini di repertorio?
Sì, i video delle navi dei migranti in mezzo al mare, ad esempio, mi sono stati forniti dalla Guardia di Finanza, che è stata molto disponibile. Ho cercato volutamente di mischiare grane diverse nel film e per questo devo ringraziare il direttore della fotografia Alessandro Abate che ha fatto un ottimo lavoro. La parte con Vinicio l’ho realizzata con una Sony HD, quella documentaristica con una Canon. Il mio in fondo è un “film meticcio”, sia per tema che per mezzi, volevo integrare materiali diversi così come la nostra società deve integrare diverse culture.
Il film inizia e finisce con immagini fuori fuoco, perché?
Dobbiamo ancora mettere a fuoco la realtà dei migranti, in Italia la conosciamo solo per stereotipi, grazie alle analisi sociologiche che vediamo non tanto al cinema che in questi anni ci ha regalato opere belle e emozionanti sul tema, quanto sui diversi media: credo che la sociologia sia un approccio molto fuorviante. Il nostro paese si sta interrogando molto sulla problematica dei migranti e mi è sembrato bello e importante mettere in scena queste storie. Credo che noi cerchiamo di accoglierli così come noi stessi siamo accolti dai loro sogni: c’è uno scambio tra la nostra cultura e la loro voglia di evadere dai regimi dei loro paesi.
E’ stato difficile produrre il film?
Il film l’ho prodotto da solo, ma se non avessi incontrato Gianluca Arcopinto non sarei riuscito a chiudere il progetto. Lui è stato determinante, così come Pigrecoemme che ha contribuito alla produzione. Abbiamo comunque realizzato il film con cifre ridicole. Con i soldi che abbiamo speso altre produzioni ci pagano solo il catering. Le riprese alle fine sono state portate a termine in 10 giorni, ho messo insieme una piccola troupe molto giovane, al massimo eravamo in 10 sul set. Per questi motivi mi piace definire Un consiglio a Dio un “combat-film”.
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