Immagini che avevamo rimosso, o meglio cercato goffamente di rimuovere, si rincorrono nel racconto collettivo che porta la firma alla regia di Gabriele Salvatores, Fuori era primavera – Viaggio nell’Italia del lockdown, film partecipato sull’Italia del Covid, realizzato raccogliendo migliaia di testimonianze video prodotte dagli italiani durante il lockdown del Paese, frutto di una call lanciata a fine marzo da Indiana Production e Rai Cinema che invitava a inviare materiali inediti, girati restando rigorosamente in casa, per raccontare le azioni e le emozioni di quei giorni. Un’operazione sulla memoria collettiva che, guardata in questo momento, non lascia, certo, indifferenti, mentre lo spettro dei numeri del contagio fuori controllo risale, dopo un’estate relativamente tranquilla in cui ci eravamo riappropriati, in qualche modo, delle nostre abitudini. Con la minaccia di un nuovo lockdown dietro l’angolo, che però oggi scatena disordini e non più solo paura, come la guerriglia urbana scoppiata ieri notte a Napoli dopo l’annuncio del governatore De Luca del blocco notturno della Regione e di possibili e più severe restrizioni temporanee per arginare l’epidemia. Lo stesso Salvatores, atteso ospite della giornata di chiusura della Festa di Roma dove il film è stato presentato come Evento Speciale, per ironia della sorte è, proprio in questi giorni, bloccato dal Covid in quarantena, fortunatamente asintomatico.
Il film è un ritratto a tante voci che dà testimonianza, in successione cronologica, degli eventi che si sono susseguiti dall’inizio dell’epidemia, fino alla chiusura dell’Italia e all’arrivo, il 4 maggio, di un graduale allentamento dei divieti. Mani che si lavano, camici, guanti, la liturgia pomeridiana dei dati trasmessa in tv, i bambini che giocano rinchiusi in casa armati di spade di cartone per combattere il mostro. Quell’11 marzo in cui l’Italia tutta va in lockdown, quel giorno in cui abbiamo scoperto, di colpo, la verità della nostra impotenza e ci siamo svegliati tutti più fragili. Città vuote, spettrali, il timore dell’ignoto che immobilizza, che fa rinchiudere in casa, gli inviti a uscire solo per assoluta necessità. Le autocertificazioni, la depressione di chi fa fatica a trovare un motivo per uscire dal letto. La paura che diventa tempo dilatato dell’attesa, in cui si sperimentano nuove pratiche. I film proiettati sui palazzi, la ginnastica sui balconi di chi non ce la fa a stare fermo, la gente arrampicata sui tetti per guardare spazi più aperti. Le famiglie separate, gli amori a distanza, gli occhi che si toccano solo via Skype, quel ‘andrà tutto bene’ diventato un mantra. I nuovi eroi (così presto dimenticati) in prima linea nelle corsie degli ospedali. Ancora: le immagini che non avremmo mai voluto ricordare, il lamento dei motori, il silenzio delle bare in fila che sa di sconfitta nella processione di furgoni dell’esercito che porta via da Bergamo le salme perché non c’è più spazio né modo di cremarle. In una pandemia che impone solitudine, soprattutto a quegli anziani svaniti dalle famiglie senza essere visti, senza essere toccati, senza essere salutati.
Fuori era primavera è il racconto intimo degli italiani e di un mondo messo tutto in ginocchio a opera di un microbo, che diventa testimonianza collettiva e autentica dell’Italia di oggi, filtrata attraverso la regia e la visione di un grande artista che già aveva realizzato il progetto collettivo Italy in a day. Il documentario è stato interamente realizzato in smart working – parola sconosciuta ai più che è diventata di colpo parte integrante della lingua italiana – dalla fase di lancio a quella di montaggio e finalizzazione, grazie al lavoro di una redazione che ha selezionato da remoto gli oltre 16mila contributi video ricevuti, mettendoli poi a disposizione su un server al team di montatori diretto da Massimo Fiocchi, storico collaboratore di Gabriele Salvatores, e da Chiara Griziotti.
“Andrà tutto bene… mica tanto, vabbè vedremo”, dice sul finale, a lockdown terminato, uno dei personaggi che attraversa il film, un runner che continua a muoversi sin dall’inizio della pandemia tra le strade deserte di Milano per fare le sue consegne. “Era nato come un documentario per la memoria – ha spiegato Salvatores – ma siccome ci siamo resi conto che questa storia non sarebbe finita, l’ultima immagine è una barchetta in mezzo al mare, che non si sa dove e quando approderà. L’immagine che ne viene fuori è che gli italiani sono migliori di come vengono dipinti. C’è la lotta al virus, ma ci sono anche gli aspetti umani. E poi ci sono tanti bambini, che ci fanno pensare al futuro”. Una speranza timida che si apre, come un viaggio di rinascita attraverso il mondo, sulle note di Voglio vederti danzare di Franco Battiato: “E gira tutto intorno alla stanza, mentre si danza, danza”
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