SALVATORE MEREU


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Salvatore Mereu

Girato in Sardegna, da Agrustos al Supramonte, con un affollato cast di isolani non professionisti e due nomi internazionali: Caroline Ducey (la Marie di Romance di Catherine Breillat anche voce narrante di Prendimi l’anima di Roberto Faenza), e l’israeliana Yaël Abecassis, moglie ripudiata in Kadosh di Amos Gitai.
E’ Ballo a tre passi di Salvatore Mereu, regista 37enne originario di Dorgali, folti riccioli neri e accento inconfondibile, studi alla Scuola Nazionale di Cinema, due cortometraggi alle spalle, Prima della fucilazione e Miguel.
Sostenuto dal collaudato tandem produttivo Gianluca Arcopinto/Andrea Occhipinti e dai finanziamenti dell’art.8, ha realizzato “un film corale con tanti protagonisti che si passano il testimone. Il tema centrale è l’iniziazione”. Come quella di 5 bimbi che scoprono il mare: “Un’esperienza tutt’altro che rara per chi nasce nell’interno dell’isola – racconta – L’ho scoperta nel corso di una ricerca per l’Istituto superiore regionale etnografico”.
Il film, selezionato dalla Settimana della critica e consacrato dal prestigioso premio Cult Network, uscirà nelle sale il 19 settembre.

Raccontaci la storia produttiva di “Ballo a tre passi”.
Ho conosciuto Arcopinto a Bologna qualche anno fa. Vinsi il premio Axelotil per il corto Miguel e mi propose di dirigere un lungometraggio. Poi Andrea Occhipinti, all’inizio contattato per la distribuzione, ha adottato il progetto e Gianluca è diventato produttore esecutivo. A volte le regole ferree dell’art.8 rendono la lavorazione difficile ma loro mi hanno lasciato una grande libertà: ho girato in 10 settimane, tempo eccezionale rispetto alle solite 6/7.

Come hai scelto gli attori non professionisti?
In molti casi ho scritto i ruoli pensando a personaggi incontrati per caso, presi in prestito dalla realtà e inseriti nella finzione. Come Pietro, un pastore 67enne di Orzulei scovato in uno dei miei sopralluoghi e già attore in Miguel. Vive in campagna solitario e ha un volto straordinario, solcato dalla storia, in cui si trova una verità che va al di là di ogni possibile messa in scena. Lui era impegnatissimo con il lavoro e per farlo sostituire e averlo nel film ho condotto una dura trattativa con altri servi pastori.

Hai usato la lingua sarda. In che modo?
Ho chiesto agli attori di parlare come nella vita quotidiana. Il risultato è un mix linguistico tra italiano e sardo. Ci saranno i sottotitoli ma non il doppiaggio, cosa impossibile qualche tempo fa: Visconti fu costretto a doppiare i pescatori siciliani di La terra trema, De Seta fece lo stesso con Banditi a Orgosolo. Ma ora c’è un grande interesse verso le realtà locali, penso a film come Lacapagira di Piva, e l’uso della lingua può anche diventare un punto di forza e dare quasi un tocco esotico. Di fronte ad un premontato Arcopinto mi ha detto che quei suoni danno la stessa sensazione dei film di Kiarostami.

La Sardegna è rappresentata spesso in modo stereotipato.
Sono d’accordo. Non amo i film che puntano tutto sul folklore o sulla bellezza degli scenari. Guardo piuttosto a registi come De Seta e i fratelli Taviani. Con Banditi a Orgosolo e Padre padrone hanno raccontato la Sardegna con una profondità straordinaria, curiosa per dei “forestieri”.

Nelle ultime stagioni dall’isola vengono produzioni interessanti. Penso ad “Arcipelaghi” di Giovanni Columbu e “Pesi leggeri” di Enrico Pau. Frutto di coincidenze o segno di un risveglio cinematografico?
Negli ultimi 2/3 anni ci sono stati parecchi cambiamenti. Finalmente sembra vicina anche la nascita della Film Commission locale. Lo strumento chiave per superare l’emarginazione cinematografica è stato proprio l’art.8 con cui stati prodotti anche i film di Columbu e Pau. Sono pellicole sincere. Arcipelaghi, come insegna Tolstoj, racconta una storia universale a partire da un microcosmo. Purtroppo non sono stati supportati da una distribuzione coraggiosa. Comunque parlare di un movimento o di una scuola è improprio e prematuro.

autore
15 Aprile 2003

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