Esce in sala il 23 marzo con The SpaceMovies e Dnc, in occasione della Giornata mondiale della foresta indetta dall’Onu, Amazzonia di Thierry Ragobert, che ci porta nel polmone verde del pianeta guidati dalla scimmietta cappuccino Sai. Allevata in cattività, Sai si ritrova, dopo un incidente aereo, ad affrontare per la prima volta quello che sarebbe il suo habitat naturale, ma che le appare all’inizio inospitale e pieno di pericoli. Per lo spettatore è l’occasione per fare un viaggio straordinario nel mondo della biodiversità.
Nonostante il 3D e l’impiego di effetti speciali, il film, presentato fuori concorso allo scorso festival di Venezia, ha un’atmosfera all’antica che rimanda ai documentari naturalistici Disney, ma anche al recente Il popolo migratore, che ha la stessa filosofia con animali non addomesticati inseriti in un contesto narrativo. “Ci siamo mossi tra fiction e documentario”, ammette il produttore, il francese Stéphane Millière. “In un certo senso era come girare Ladri di biciclette nel mondo animale, mettendo veri animali in un vero contesto. La scimmia cappuccina protagonista è interpretata da due esemplari, entrambi nati in cattività e recuperati dall’IBAMA, l’autorità brasiliana che difende la foresta. Così anche lei scopre l’Amazzonia per la prima volta”.
Naturalmente non è stato semplice proteggere l’incolumità delle scimmiette e della troupe durante i 18 mesi di riprese in un ambiente dove vivono decine di specie spesso rarissime (tra queste l’anaconda, il boa costrittore, l’avvoltoio reale, il giaguaro, il delfino rosa, lo scarabeo rinoceronte, il formichiere gigante, la farfalla blu morpho…). Un set di 6 milioni di km quadrati, 5.000 specie animali e 40mila specie di piante. “Nella scena in cui il giaguaro cerca di catturare Sai – racconta ancora il produttore – abbiamo lasciato il predatore muoversi in libertà usando invece delle gabbie per proteggere la troupe; mentre nella scena con l’anaconda o con i coccodrilli gli animali erano già sazi. E poi ci sono sempre stati con noi dei veterinari, perché i primati sono particolarmente vulnerabili alle infezioni e alle malattie”.
La troupe franco-brasiliana era composta anche da vari operatori animalisti, biologi con la macchina da presa, che hanno effettuato molte riprese sia su una chiatta sul Rio delle Amazzoni sia appostati su piattaforme costruite in cima agli alberi. Entusiasta del progetto anche Alessandro Preziosi, che con la sua voce sottolinea le immagini mozzafiato di albe e tramonti, temporali e schiarite. “Sono un padre e questo mondo mi sta molto a cuore, sono convinto che vada protetto in tutti i modi, anche se la nostra vita va in una direzione opposta. Mi si è impressa nella mente la domanda finale: Cosa rimarrà di tutto questo?”. In effetti Amazzonia ci mostra anche come la foresta sia ogni giorno minacciata dal disboscamento progressivo che sta erodendo questo polmone naturale del mondo, come ricorda Isabella Pratesi, responsabile dei progetti di conservazione del Wwf Italia: “Ci siamo innamorati di questo film perché mostra una natura profonda, un serbatoio di biodiversità e un tassello fondamentale che ci permette di mantenere il clima del pianeta. Eppure ogni giorno perdiamo centinaia di ettari che vengono trasformati in campi coltivati. Salvare l’Amazzonia vuol dire salvare la nostra vita su questo pianeta”. Però il film non vuole essere di denuncia, come spiega Stéphane Millière: “Ci rivolgiamo innanzitutto ai bambini e abbiamo cercato soprattutto la meraviglia. Ma è importante sensibilizzare i bambini ad amare la natura e così abbiamo lanciato l’allarme nella parte finale”.
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