Paul Verhoeven, eclettico e ironico regista olandese che negli anni 80 e 90 ha dominato la scena ad Hollywood, in grado di passare con disinvoltura dalla fantascienza intrisa di ultra-violenza di Robocop, Total Recall e Starship Troopers al thrilling di Basic Instinct, a film in costume come L’amore e il sangue, presenta oggi al festival di Roma, nella sezione CineMAXXI, il mediometraggio Steekspel, commedia nera su legami e intrighi familiari girata nella sua madrepatria, con attori olandesi, e realizzata con una tecnica produttiva innovativa e originale, che attraverso Internet ha coinvolto direttamente il pubblico. 50′ di cinema sperimentale raccontati anche nel documentario Paul’s Experience che accompagna la proiezione assieme a un incontro con l’autore, che racconta com’è nata questa nuova esperienza.
“L’idea è nata dal produttore – dice – abbiamo messo online i primi 4 minuti del film suggerendo poi agli utenti di continuarlo, o a mezzo video o con sceneggiature. La risposta è stata oltre le nostre aspettative. 2.500 video e oltre, e più di 700 copioni. E’ stato interessante, una grande avventura…”
Come ha fatto a filtrare tutto questo materiale, che immaginiamo estremamente eterogeneo?
Semplicemente…è stato orribile. Per il secondo episodio di 4 o 5 minuti ho ricevuto circa 4000 pagine, calcoli che vanno lette almeno tre volte. Io pensavo che magari due o tre copioni sarebbero stati eccellenti, l’idea giusta. Mi illudevo magari di poter unire due sceneggiature e risolvere la cosa così. Ma mi sbagliavo di grosso. Dopo averle lette tutte, mi sono reso conto che in ciascuna c’erano piccoli pezzi che funzionavano molto, e il resto magari era da buttare. Era come un patchwork, la sfida è stata proprio questa. Abbiamo dovuto trovare una chiave di volta per far funzionare tutto. Ma è stato anche molto liberatorio, per il rapporto particolare che si è creato con il pubblico, mi ha fatto sentire ringiovanito. Heidegger diceva che per essere creativi bisogna essere disposti a saltare nell’ignoto. E cos’avevo da perdere?
Alcune scene, però, sono tipicamente ‘Verhoeven’, come i colpi di forbice sulla pancia della donna che si finge incinta. Sono sue idee, o magari il pubblico, sapendo che c’era lei dietro al progetto, si è sforzato di imitare il suo stile?
Quella sequenza in particolare è frutto di un’idea del pubblico, io l’ho solo posticipata perché in quello script veniva troppo presto. Probabilmente qualcuno mi ha imitato, altri no. Un tizio aveva scritto ad esempio una sceneggiatura tutta ‘sado-maso’. Oggi è di moda, grazie a ’50 sfumature di grigio’. Di quella sceneggiatura ho tenuto solo una battuta sul seno della protagonista. Lui poi proseguiva col bondage e le frustate, io ci ho dato un taglio.
Il suo cambiare continuamente genere ha a che fare con la sfida verso l’ignoto di cui parlavamo prima?
Esattamente. E’ così che si fa. So bene che anche Hitler si è ispirato a Heidegger, ma in quel caso ‘saltare nell’ignoto’ significava non sapere cosa diavolo si stesse facendo. Tornando ai film, se non sai esattamente dove vai sei più spinto a essere creativo. E poi se hai un po’ di paura, non fa male, perché se sei troppo sicuro di te stesso e fai esattamente ciò che avevi in testa non cresci, non è il modo migliore di fare film. Con la fantascienza è diverso, devo dire: ci sono costi da calcolare con precisione, per questo spesso segui uno storyboard già stabilito con molta precisione. Ma lavorare in questo modo mi ha messo su una strada nuova e audace. Sempre due telecamere, molta improvvisazione. Poi sceglievo: questo va bene, questo no. Gli attori nemmeno avevano idea di quel che stesse accadendo. Un po’ come nella vita reale.
E non ha mai avuto dubbi sulla riuscita dell’impresa? Vi eravate preparati un piano B?
Assolutamente no. Molti pensavano che non avrebbe funzionato, che non saremmo stati in grado di strutturare il film fino al finale. Il pubblico continuava a perseguire la sua strada e non pensava che c’era comunque un limite di tempo da rispettare, che dopo 50 minuti la storia doveva concludersi, e continuavano ad aggiungere, ad aggiungere, ad aggiungere personaggi, svolte, situazioni. Forse avremmo dovuto dare indicazioni più precise. A un certo punto abbiamo incontrato gli scrittori per cercare di far loro capire come stavano le cose, ma non ha funzionato. Sono dovuto intervenire direttamente e strutturare i contenuti del pubblico, soprattutto nell’ultima parte, o sarebbe diventata una pazzia.
Ci sembra di capire che ritiene ancora molto importante il ruolo dell’autore, nonostante Internet, i social network e l’intervento del pubblico…
Ma assolutamente. La scrittura è una professione, non si può insegnare al pubblico da un momento all’altro. Vi fidereste di un neurochirurgo che non è formato? Lo stesso vale per sceneggiatori e registi. Abbiamo dovuto prendere noi le decisioni finali, sono stati gli input miei e degli sceneggiatori a far funzionare il tutto, ci dev’essere qualcuno che da equilibrio alla baracca. Però è stato divertente perché moltissime idee, dettagli, perfino scenografie, sono venuti dal pubblico. Però ovviamente il pubblico non può conoscere le regole del ‘drama’, dove mettere le scene per far sì che la trama risulti spettacolare e interessante, e bisogna farlo perché altrimenti poi la gente in sala si addormenta, ci vuole una certa progressione, uno sviluppo psicologico, pensiamo a Fellini e a La dolce vita…
Il film sembra voler dire che seguire i propri desideri e sentimenti è pericoloso…
Lo è. Viene da Hitchcock. Ma cerco anche di usare situazioni ambigue, di tenere vivo l’interesse mio e del pubblico. Ci sono delle situazioni che pensi vadano in un modo e finiscono in un altro. E’ stato molto divertente.
E la colonna sonora dei Rammstein?
Li ho voluti io perché sono un loro grande fan, vado sempre ai loro concerti quando posso. Sono una band dura e tosta, ma hanno anche degli aspetti di lirismo che non ti aspetti. Sono passato da Bryan Ferry ai Rammstein in un colpo solo e ho fatto diventare loro ammiratori tutti quelli che hanno lavorato nel film. Li avrei voluti usare sin dai tempi di Showgirls, forse non il mio film migliore, ma la produzione mi disse che non potevo, che non andavano bene. Mi sono finalmente tolto lo sfizio.
All’estero non vendete il film, ma l’idea di come è stato realizzato. Sembra un po’ il modo in cui vengono venduti i format televisivi e anche questo è in qualche modo sperimentale…
Non ne so nulla. Ci pensano i produttori e non mi danno nemmeno un centesimo!
Che ne pensa dei remake che stanno facendo dei suoi film? Quest’anno abbiamo avuto un nuovo ‘Total Recall’ e presto arriverà il rifacimento di ‘Robocop’…
Ho visto il primo e credo che si sia voluto prendere troppo sul serio. Non ha funzionato. Io e Schwarzenegger al tempo ottenemmo recensioni molto migliori, e ora che c’è questo film…ne otteniamo di ancora più belle! Per ciò che riguarda Robocop, per ora ho visto solo immagini e ho letto una sceneggiatura ed è chiaro che da questi elementi non posso dare un giudizio definitivo, ma anche lì mi pare si sia perso l’elemento ironico, che invece era una parte fondamentale dell’originale.
Manca dal cinema da un po’, mentre i suoi fan vorrebbero che facesse un film all’anno come Woody Allen. Quali sono i progetti che avrebbe voluto realizzare e che non è riuscito a portare a termine?
Anch’io sono un gran fan di Allen, farei volentieri un remake di Io & Annie. Se devo sceglierne uno, il progetto La Crociata, con Schwarzenegger, purtroppo non è andato in porto causa fallimento della produzione. Era un film d’azione, ma interessante, che trattava temi anche difficili, come la pedofilia.
E il film su Cristo, ispirato al suo saggio ‘L’uomo Gesù’?
Ci sto lavorando, ma è difficile. Il libro è una base che fungerà da bozza per la sceneggiatura, ma è un libro didattico che non può essere preso troppo alla lettera. Ho dovuto cambiare sceneggiatore proprio perché il primo tendeva troppo a seguirne la traccia. Stiamo procedendo, ma sono preoccupato. E’ un tema pericoloso. In Usa c’è gente che ha molto a cuore il tema del cristianesimo, e questa gente ha anche armi molto molto affilate. Bisogna stare attenti a non contrariarli. Probabilmente, lo farò in Europa.
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