Quarta edizione, finalmente, l’aspettavamo dal 1998. Due anni di pausa per la Palma d’Oro (leggi il dossier su CinemaZip) di quest’anno prima di ricominciare a gestire la maratona di cinque giorni dedicata al cortometraggio, di cui Moretti è ideatore, direttore e giurato insieme ad Angelo Barbagallo. In corsa opere in ogni formato (pellicola, video, digitale) ma rigorosamente sotto i trenta minuti.
Dal Sacher Festival sono usciti fuori autori come Matteo Garrone (Estate romana), Nina Di Majo (Autunno), e Giovanni Davide Maderna (Questo è il giardino). Il meccanismo è semplice, in questo perciò diverso dai numerosi altri festival di cortometraggi che da qualche anno invadono l’Italia, spesso inutilmente.
Il catalogo scarno, come da tradizione, ma soprattutto gratuito, privilegia la sintesi delle informazioni sugli autori, indicandone solo il mestiere per far risaltare la diversità delle provenienze e la democraticità del cortometraggio (quest’anno dovremmo dire: del digitale). Nove registi di professione, un insegnante di educazione fisica, un medico, due psichiatri, un gestore di un bar, quattro studenti universitari, tre impiegati.
Tre i premi studiati per incitare (anzi, obbligare) i vincitori a cimentarsi con la pellicola se il loro film è in video; ad insistere, altrimenti. Ma dal 10 al 14 luglio al Cinema Nuovo Sacher di largo Ascianghi, a Roma, di cortometraggi in pellicola se ne sono visti e se ne vedranno pochi: solo due in 35millimetri, cinque in 16 o super16 millimetri; tutti gli altri in video (Betacam, Hi8) o digitale (miniDV, DVCam, in tutto diciannove). Il Super8, il formato con cui lo stesso Nanni esordì nei suoi primi tre corti e addirittura nel suo primo lungo, Io sono un autarchico, sembra scomparso.
Dei primi film che abbiamo visto un paio ci sono sembrati particolarmente belli. La signorina Holibet, di Gianluca Iodice, affida alla bellezza incerta e perciò sensuale di Giovanna Giuliani il compito di raccontarci della paura di non farcela, nel lavoro e nella vita. Le due sequenze più importanti del film sono un raro esempio di scrittura cinematografica. La prima si svolge nell’abitacolo di un’automobile, in cui Giovanna spera di trovare la complicità del ragazzo che le piace, il bravissimo Marco Mario De Notaris. L’altra è al telefono: il fratello di Giovanna (Armando Pirozzi) è nella stanza accanto, ma preferisce chiamarla sul portatile e darle una lezione di vita e d’affetto che lei ricorderà per sempre, soprattutto perché inaspettata.
Va segnalato anche Mater, realizzato da un giovane regista alunno della scuola di Cinema “Zelig” di Bolzano, da qualche tempo fucina di talenti e impegnata come poche in Italia nella formazione al documentario. E quasi un documentario in costume sembra questo piccolo e intensissimo film, che richiama le atmosfere di Gostanza da Libbiano di Paolo Benvenuti, se non fosse che quello era in bianco e nero e questo in 16mm. con sapienti inserti in video per le sequenza oniriche dell’inquisitore tormentato dagli incubi, alla ricerca di streghe da giustiziare.
Picchio e Pacchio, con Claudio Santamaria, è la delirante descrizione dell’amore tra due giocatori di pallavolo; L’ultimo rimasto in piedi, di Ugo Capolupo, una riflessione sull’Italsider di Bagnoli attraverso la passione per l’archeologia industriale di Giovanni, ex-dipendente; e infine Dentro e fuori (di Giacomo Ciarrapico, un prolifico autore teatrale con al suo attivo già un lungometraggio) si rivela una commedia divertente, ambientata nella casa degli orrori del Luna Park di Roma, in cui l’attore che impersona un mostro assetato di sangue riceve, proprio durante l’orario di lavoro – con i “clienti” da spaventare ogni due minuti – una proposta di matrimonio…
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