Grimbsy è il nome del sobborgo proletario della provincia inglese dove vive ed è cresciuto il protagonista del film omonimo, in Italia sottotitolato Attenti a quell’altro, in sala dal 7 aprile con Warner . Uno slum che si affaccia nel mare del Nord animato da tutti i luoghi comuni che può contemplare un ambiente del genere. Famiglie numerose, disoccupazione, microcriminalità e altri cliché di sorta. Non c’è spazio stavolta per la poesia di Dickens e neppure per la rivalsa sociale di un Loach. Questa location si rivela lo spazio ideale per collocare l’amara lettura di uno spaccato sociale attraverso il metro di una comicità grottesca e senza riscatto. In questo contesto prende quindi le mosse quest’ultima fatica che vede protagonista Sacha Baron Cohen, il talentuoso trasformista che non perde, film dopo film, la velleità di fare soprattutto della sociologia attraverso la sua comicità cinica e iconoclasta.
Nato come fenomeno virale della rete, in questi anni Cohen – che in una vita precedente è stato anche un brillante studente di filosofia – non ha mai nascosto nelle sue intenzioni l’ambizione profonda di voler interpretare attraverso questo suo stile paradossale la complessa società che ci circonda. Non a caso questa sua parabola che si trascina ormai da una dozzina di anni ha un battesimo illustre. La sua fortuna vive ancora dell’illuminazione che ebbe la popstar Madonna che si innamorò a tal punto di una sua maschera, il dj rapper Ali G., da ospitarlo in uno dei suoi video musicali. Questo cameo basta a consacrare ad imperitura gloria e fama il giovane trasformista e lo proietta oltre Atlantico facendolo entrare dalla porta principale. Il giovane non perde l’occasione della sua vita e, invece di bruciare il suo personaggio in un unico quarto d’ora di celebrità, capisce che può inventare un suo preciso stile personale. In America molti sono riusciti a farcela con molto meno.
Aiutato da una fisicità particolare – alto e dinoccolato lo sfruttano come caratterista anche Tim Burton e Martin Scorsese – è conscio di essere perfetto per portare in scena altre nuove caricature destinate al successo. Sacha Baron Cohen passa con disinvoltura dal goffo kazako alla scoperta dell’America Borat, a il giornalista di moda austriaco Bruno, senza trascurare il protagonista del suo penultimo film, il dittatore africano Hafez Aladeen. In Grimbsy troviamo così celebrata sul grande schermo l’ultima fatica di Cohen: l’hooligan “Nobby”, un disperato residente del sobborgo da sempre generoso con la sua famiglia numerosa e la giunonica compagna, che ha l’occasione di emanciparsi da questo contesto quando ritrova dopo trent’anni il fratello minore oggi agente del controspionaggio.
Ovviamente questo lo condurrà in una missione di un’ora e mezza declinata sui due emisferi, diretta dal brillante quarantenne Louis Letterier (Scontro tra Titani) che alterna nella sua messa in scena i tempi comici del carismatico protagonista ad incursioni nelle soggettive dal montaggio serrato che, quasi da videogioco, fanno tanto spy story per il pubblico non certo cinefilo a cui è destinato il film. Norman “Nobby” Grimsby, quest’ultima maschera di Baron Cohen, ha un taglio di capelli anni novanta che ricorda il look epigonale mod degli Oasis e gira in ciabatte e calzini di spugna indossando la mitica maglia 19 di Vardy, l’ultimo idolo che la gloriosa storia del calcio britannico ci ha regalato. Il giocatore operaio che dal basso delle serie minori è arrivato a Wembley e che oggi guida come leader indiscusso il Leicester, la squadra di provincia oggi capolista che ripropone il calcio autentico contro il football finanza degli sceicchi. Un riferimento non a caso perché il film di Baron Coen costruisce questo sistema paradossale di situazioni con la chiara ambizione di denunciare decenni di fallimenti del welfare britannico. La sua comicità non vive solo della fisicità dell’interprete ma si muove su vari registri. Se agli inizi della sua carriera si notava con più attenzione la necessità in Baron Cohen di voler fondere un certo sarcasmo ebraico con il gusto surreale e demenziale tipicamente british, in quest’ultimo film l’iperbole raggiunge dimensioni troppo spesso imbarazzanti e non sempre la costruzione delle situazioni, che giocano sull’equivoco, riescono come nel finale a sortire un effetto pirotecnico. Il pubblico nerd e snob a cui è destinato il pubblico forse non riconoscerà le innumerevoli citazioni dal primo La Pallottola Spuntata e anche se noi siamo il popolo del fescennino non credo che tutte le soluzioni del film siano capaci ad incontrare il gusto ed il favore del nostro pubblico che ormai, da periferia dell’impero, è destinato a consumare anche questo fenomeno tipicamente “atlantico” non certo in linea con la nostra tradizione.
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