VENEZIA – La pellicola si basa su una delle vicende più intricate della nostra storia recente, la presunta trattativa Stato – Mafia che qui viene raccontata con lucidità e un linguaggio forte che mescola fiction e documentario avanzando interrogativi significativi e maieutiche provocazioni. “Siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo”, afferma Guzzanti in apertura del film, guardando dritta la macchina da presa con i suoi attori , come si fa in tv, documentando una rappresentazione teatrale, e avvisa così gli spettatori di quel che sta per accadere, ossia la ricostruzione della presunta trattativa tra lo Stato e la Mafia. La Guzzanti comica esplode invece quando mette alla berlina Giancarlo Caselli e soprattutto quando si tratta di affrontare Berlusconi e la nascita di Forza Italia – ricostruita come atto mafioso. Truccata da ex premier e a fianco a Dell’Utri mentre una voce racconta come quest’ultimo era imbarazzato dal comportamento di Berlusconi. ”Con Cosa Nostra ci vuole molta serietà, non avrebbe dovuto fare il bunga bunga”. La trattativa uscirà con Bim il 2 ottobre.
Si tratta, per l’Italia, di un ritorno al cinema civile?
Non a caso ho citato Elio Petri nelle note di regia. Ho passato molto tempo a studiare il suo cinema e le interpretazioni di Gian Maria Volontè. Il mio film però ha un approccio ‘brechtiano’ alla recitazione. Oddio, forse uso termini a sproposito. Perfino Raffaella Carrà mi darebbe una bacchettata se mi sentisse. Uso il punto di vista di questo o quel testimone per presentare fatti che sono tutti realmente accaduti, anche se non sappiamo di chi sia la colpa o quale sia il responsabile ultimo.
Come la prenderebbe, se il processo di Palermo non dovesse supportare le tesi dell’accusa?
In Italia i colpevoli non si trovano mai, non si troveranno nemmeno stavolta. Mi sono convinta che fare questo film fosse importante, anche per la sua grossa carica drammaturgica. Ma il punto è che siamo fin troppo abituati a dire “aspettiamo i risultati del processo”. Diciamo, almeno, dal ’92 o dal ’93. Prima non era così. Il processo serve a trovare un colpevole. Ma questo non significa che a livello politico o d’opinione pubblica non si possa parlare di fatti comprovati.
Ad esempio?
Ad esempio la mancata perquisizione del covo di Totò Riina, che non solo non venne eseguita ma addirittura impedita dalle autorità. Sarebbe stata l’occasione per sconfiggere definitivamente Cosa Nostra, era tutto nella sua cassaforte.
Perché ne è così sicura?
Perché tutti i mafiosi tengono nella loro cassaforte dei documenti con i nomi di tutti i loro collaboratori, e questo per poterli ricattare. Una volta che ti sei messo nelle loro mani ci resterai per sempre: il fatto che Berlusconi abbia pagato tutti quei soldi, come ha dichiarato Riina – e, diciamo, ammesso che sia vero – significa che anche lui era nella mani di Cosa Nostra. Per questo non è credibile quando si parla di personaggi della politica che hanno avuto rapporti con la mafia e poi hanno smesso. Pensiamo, non lo so, ad Andreotti o Dell’Utri. Il fatto che non si siano trovate le prove utili a un processo non fa di quei personaggi degli innocenti. Questo non ci impedisce di supporre o presupporre che abbiano continuato a collaborare. Nostra responsabilità di cittadini è anche quella di svincolarci dal percorso processuale. Non possiamo sempre delegare alla magistratura. Se un politico viene assolto, non vuol dire che sia innocente. Vuol dire che non si sono trovate le prove per condannarlo. Ma la politica e l’opinione pubblica possono comunque trarre le giuste conclusioni.
Che tipo di lavoro è stato?
L’ho iniziato, poi l’ho interrotto, poi mi sono detta ‘non si può fare’, ma intanto la conoscenza dell’argomento aumentava. Ho scoperto fonti nuove: radio radicale ad esempio offre un servizio che permette di ascoltare tutti i processi e quindi ho potuto studiare, anche capire bene come funziona un processo, dato che non ho una formazione giudiziaria. Problemi, minacce, censure, intimidazioni? Il periodo storico è sgradevole, ma no. Niente di tutto questo. Si aspetta attacchi in particolare? Se non li fate voi giornalisti, già mi sento sollevata. Poi, glie l’ho detto, è tutto documentato. Sono praticamente inattaccabile.
Anche quando afferma che Napolitano ha fatto pressioni sul procuratore Grasso per agevolare l’indagato Mancino?
Assolutamente sì. Ogni parola l’abbiamo controllata 1.600 volte, assieme al giornalista Giorgio Mottola. Abbiamo verificato tutto e questa, le assicuro, è “facile”. E’ documentato che Napolitano abbia fatto pressioni sulla Cassazione e su Grasso. C’è una lettera di Marra alla Cassazione, e sto nominando solo una delle cose più gravi e incontestabili. Non raccontiamo le polemiche, raccontiamo i fatti. Ai tempi delle stragi Napolitano era presidente della Camera e Violante della commissione antimafia. Sapevano della trattativa.
Parliamo del linguaggio ibrido del film. Non avrebbe preferito lavorare solo su fiction o documentario “puri”?
Sicuramente non volevo fare solo un documentario. Ho provato a rivolgermi alla pura fiction ma mi sono resa conto che non sarebbe stato possibile a meno di non avere un grande budget e comunque non sarebbe venuto così bello. Ci sono cose che può raccontare solo la fiction e cose che può raccontare solo il documentario. Era anche una questione di tempi, avevo bisogno di spazi per inserire dei ragionamenti.
Dopo aver guardato il lato oscuro del paese, si sente più depressa o motivata?
Lo scopo del film era quello di mettere tutti nella condizione di conoscere questi aspetti della nostra storia, anche chi non legge saggi specialistici o magari nemmeno i giornali. Tutti devono capire gli eventi che hanno di fatto cambiato il corso della democrazia. Una larga fetta di italiani sa che ‘Stato e Mafia sono la stessa cosa’, ma è una percezione generica che è nemica di un’idea precisa che dovrebbe interessare anche la classe dirigente al momento al comando. Deprimersi è una scelta individuale. Io credo che certe cose sia peggio non saperle. Il cinema è uno strumento e poter vedere tutti insieme un film così dovrebbe fornire forza e non depressione.
Che conclusioni ne ha tratto?
Credo che le istituzioni italiane temano la democrazia. Scelgono sempre un’altra strada. Il paese stava per cambiare e qualcuno con “grande senso della responsabilità” ha deciso che la strada che dovevamo seguire era diversa, e ha tentato di convincerci che fosse per il nostro bene. Se non ci fosse stata la trattativa oggi vivremmo in un paese diverso. E avremmo forse ancora tra noi persone in gamba come Falcone e Borsellino.
C’è ancora spazio per ridere e sperare?
In un passaggio del film riflettiamo sul concetto di ‘Grazia’. Il punto di vista è quello di attori che mettono in scena uno spettacolo, ovvero del mondo della cultura. Il sorriso della ‘grazia’ non è quello della spensieratezza. La grazia può essere una risposta, ma non significa che dobbiamo ridere ‘che il nostro piangere fa male al Re’, come direbbe Jannacci.
Conosce Ciprì e Maresco dai tempi di Avanzi! Ora loro si sono separati. Ciprì è il suo direttore della fotografia, Maresco è in “Orizzonti” con Belluscone, una storia siciliana…
Li ho sempre ammirati. Non è da molto che Ciprì si dedica solo alla fotografia, questo è in un certo senso il mio primo film di finzione per cui in particolare me ne serviva uno esperto. Quando me lo hanno proposto ho detto semplicemente: “capperi, sì!”. Riguardo a Belluscone capisco che possa essere associato al mio film ma, anche se il premier compare, il mio non è un film su Berlusconi. Ne ho visto solo il trailer, per ora.
Si aspettava tutti questi applausi?
Non mi aspettavo niente. Ero gialla dall’emozione fino a dieci minuti fa.
"Una pellicola schietta e a tratti brutale - si legge nella motivazione - che proietta lo spettatore in un dramma spesso ignorato: quello dei bambini soldato, derubati della propria infanzia e umanità"
"Non è assolutamente un mio pensiero che non ci si possa permettere in Italia due grandi Festival Internazionali come quelli di Venezia e di Roma. Anzi credo proprio che la moltiplicazione porti a un arricchimento. Ma è chiaro che una riflessione sulla valorizzazione e sulla diversa caratterizzazione degli appuntamenti cinematografici internazionali in Italia sia doverosa. È necessario fare sistema ed esprimere quali sono le necessità di settore al fine di valorizzare il cinema a livello internazionale"
“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema. A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all'Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori, da Francesco Munzi e Saverio Costanzo a Ivano De Matteo, che al Lido hanno trovato un ottimo trampolino
Una precisazione di Francesca Cima
I due registi tra i protagonisti della 71a Mostra che prenderanno parte al dibattito organizzato dai critici alla Casa del Cinema il 25 settembre