Il campano Ruggero Cappuccio, uno delle figure più importanti della giovane scena teatrale italiana, ha appena concluso le riprese del suo primo lungometraggio, ma è anche reduce dalla sua terza regia lirica (Gustavo III di Svezia, la prima stesura di Ballo in maschera di Verdi) presentato lo scorso gennaio al San Carlo di Napoli. Infine, lo scorso settembre, è stato chiamato a dirigere la manifestazione Benevento Città Spettacolo, dove presenterà il suo nuovo lavoro teatrale.
E’ un anno d’oro per la tua carriera.
La disinvoltura con la quale un regista passa dalla lirica al cinema al teatro era tipica di una generazione di registi “antichi”. Certo si tratta di mondi diversi, in cui c’è un diverso uso del ritmo. Forse la difficoltà maggiore è quella di dover alterare continuamente in sé questa percezione del ritmo quando si passa da una forma all’altra.
Come è stato scoprire la “macchina cinema”? La trovi troppo distante dal modo di essere teatrale?
Ho trovato la macchina cinema immediatamente congeniale. Cinque anni fa ho girato un cortometraggio di 14 minuti in pellicola, dal titolo Niente di straordinario, con Roberto Herlitzka. Quindi il produttore Enzo Porcelli mi ha chiesto un soggetto cinematografico da un mio lavoro teatrale e ha ottenuto il sostegno del programma Media. Così è nata la sceneggiatura Shakespea Re di Napoli, un film dal budget altissimo, ambientato a fine ‘500 tra Napoli e Londra.
Il tuo primo film, realizzato con il contributo statale per le opere prime, è stato prodotto da Alberto Grimaldi (“Gangs of New York”): come ti sei trovato ad esordire con questa grande figura del cinema italiano?
Senza di lui il film non sarebbe terminato: nonostante il finanziamento statale, l’ambientazione d’epoca ha richiesto un grande impegno economico. E’ un film che richiedeva la presenza di un produttore forte, la sua volontà, e credo che a causa delle assenze di liquidità del Ministero e della situazione finanziaria del cinema in questo periodo, avremmo vissuto dei momenti difficili. E poi è stato molto emozionante collaborare con un produttore i cui interlocutori abituali sono stati Fellini, Bertolucci, Pasolini.
Il soggetto è tratto da una tua pièce teatrale ed il film è stato girato nella tua terra.
Il film, dal titolo Il sorriso dell’ultima notte, è tratto dalla pièce Il sorriso di San Giovanni. Ambientato nel ’43, racconta il passaggio tra due epoche, quella del bello e quella dell’utile. Il film è stato girato in un paese che viene abbandonato da tutti gli abitanti a causa dei bombardamenti, tranne che dalla famiglia dei Valguarnera, composta da due fratelli e cinque sorelle nubili. In realtà chi vuole rimanere è solo il primogenito Giacinto, convinto che l’unico significato profondo dell’esistenza sia legato alla memoria. Giacinto è metaforicamente il detentore di una lunga pellicola di famiglia che proietta continuamente dentro di sé e ha la pretesa che anche gli altri fratelli la vivano. Mentre tutte le sorelle premono per abbandonare il paese e aprirsi ad un nuovo mondo, lui vuole rimanere nella sua terra e nella casa settecentesca dei suoi antenati. E’ una guerra familiare sull’uccidere la memoria o sul lasciarla vivere. Viene raccontata la storia della fine di una serie di rituali umani: dopo la fine della seconda guerra mondiale il mondo non sarà più lo stesso. Il film ha due registri: uno estremamente malinconico, uno leggiadro, perfino comico.
Benevento Città Spettacolo avrà anche una sezione dedicata al cinema.
Il consulente di questa sezione è Remigio Truocchio, direttore del Sannio Film Festival, e ci saranno pellicole sul tema del festival, “il potere del desiderio, il desiderio del potere”, tra cui Sotto falso nome di Roberto Andò e Quarto potere di Orson Welles. Nella sezione teatrale ci sarà il mio nuovo lavoro Paolo Borsellino essendo stato, interpretato da Massimo De Francovich. E’ una ricostruzione psicologica del mondo interiore del giudice ucciso dalla mafia.
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