Roy Scheider, il poliziotto con gli occhiali nel film dell’allora ventisettenne Steven Spielberg Lo squalo, torna sul grande schermo con un film e un cast quasi tutto italiano. Texas ’46 – the good war del regista Giorgio Serafini prende in considerazione un momento storico poco conosciuto e doloroso della seconda guerra mondiale. Dal 1943 al 1946 a poche miglia da Hereford, in Texas, gli americani crearono un campo di concentramento per gli ufficiali italiani che dopo l’8 settembre si erano rifiutati di dichiarare fedeltà alle forze americane e aderire al corpo speciale “Italian Service Units”.
Del posto oggi sono rimaste ben poche tracce, a parte una piccola cappella bianca costruita dai prigionieri italiani in onore delle vittime morte nel campo e una torre, senza serbatoio, per l’acqua. A Hereford la Convenzione di Ginevra fu stracciata. I 750 militari americani in servizio in quello che allora si chiamava “Military Reservation and Reception Camp” non trattarono certo con i guanti i prigionieri. I militari semplici furono gli unici ai quali fu data la possibilità di andare a lavorare nei campi agricoli vicini. Gli altri, i fascisti di “alto grado”, restarono dentro. Lì fecero amicizia il pittore Alberto Burri e lo scrittore Giuseppe Berto. Nel campo Burri dipinse la sua prima tela ricavata dal retro di un sacco: “Texas o paesaggio di Hereford”.
Roy Scheider (Il braccio violento della legge, Il maratoneta e Il pasto nudo) intepreta il colonnello John Gartner. Al suo fianco Luca Zingaretti, nel ruolo di Luigi Manin, un ufficiale che tenta di scappare ma poi si ritrova faccia a faccia con il responsabile del campo. Il film, prodotto dalla Orango Film, Smile Production e Veradia film è distribuito da IIF. L’uscita è prevista a breve, tra marzo e aprile. Noi intanto raggiungiamo l’attore a New York per telefono.
Texas ‘46 tratta un episodio delicato e poco conosciuto della storia italo-americana. Come mai ha deciso di lavorare a questo progetto?
Quando Giorgio Serafini mi spedì la sceneggiatura rimasi subito impressionato dalla ferocia di questa storia. Non ne conoscevo i dettagli e mi colpì il fatto che questi prigionieri venivano trattenuti nel campo di concentramento oltre la fine della guerra. Solo nel 1946 iniziarono a tornare in Italia. Ed erano tanti, cinquemila. Luigi Manin è l’ultimo detenuto e io sono costretto a “prendermi cura di lui”. E poi ci sarà un viaggio di 200 miglia, fino a San Antonio.
Ancora oggi vivono guardie americane che hanno prestato serivzio in quel campo di concentramento. Ci sono famiglie italo-americane dalle parti di Hereford, qualche figlio di reduci italiani rimasti lì. Ha mai incontrato qualcuno di loro?
Io personalmente no, ma il regista sì. Ne ha intervistati parecchi, le guardie in particolare. Prima di girare il film, Giorgio ha realizzato un documentario su questa storia, Le mura di sabbia.
Pensa che ci possa essere qualche tipo di analogia tra il campo di concentramento di Hereford e X-Ray Camp a Guantànamo dove sono rinchiusi i talebani?
Sono guerre e periodi diversi. La natura dei due accadimenti storici è profondamente distante.
Pensa che questo film possa toccare un nervo scoperto?
Di sicuro lo farà. Il ‘nervo’ di cui parla è molto familiare. Si racconta un periodo della storia pazzo, folle, ridicolo. La guerra era veramente finita e quella gente era ancora dentro i campi di concentramento. Eppure tutto questo avviene.
Si è trovato a lavorare con un cast e una troupe quasi del tutto italiana. Come è andata?
Mi sono divertito moltissimo, e poi tutti sono stati molto professionali. Luca Zingaretti è un bravo attore. L’unico problema è stato la lingua. Abbiamo girato in Bulgaria vicino Sofia e gli italiani non capivano la lingua del posto.
Perché le riprese sono avvenute in Bulgaria e non in Texas?
Il set poteva stare in qualsiasi distesa verde. Per girare in Texas ci voleva molto denaro, per girare in Italia altrettanto, mentre in Bulgaria tutto era poco costoso.
Lei ha lavorato insieme a Gian Maria Volonté in L’attentat film del ’72 di Yves Boisset. Cosa ricorda dell’attore italiano?
Non dovevo girare nessuna scena con lui, ma l’idea di lavorare dove ci fosse anche Volonté la trovai molto attraente. Era un grande attore.
Quali progetti ha in futuro?
Ho appena finito di lavorare sul set di King of Texas, un adattamento moderno del “Re Lear” di Shakespeare. Io sono Gloucester. La storia è ambientata nel 1842 in Texas. Uscirà negli Stati Uniti in primavera. Poi sono coinvolto nel progetto Rinascimento, 24 ore di montato televisivo sulla storia che va dal Medioevo al Rinascimento in Italia, dove si legano fatti e personaggi reali insieme a intrecci amorosi. Io sono socio, insieme a Gianni Bozzacchi e Umberto Bonetti, della Try World, la società che produrrà il film. Il progetto coinvolge un cast internazionale con vari registi e attori. Da noi per il momento sono interessati Robert De Niro, Julia Roberts… Lo sceneggiatore principale è John Baxter.
Cosa vorrebbe dire al pubblico italiano a proposito di “Texas ’46”?
Vorrei scusarmi per il comportamento degli americani di allora. Quando vedrete il film capirete di cosa parlo.
Senta, ma che fine hanno fatto i suoi occhiali a goccia, quelli che portava sempre?
Continuo a portarli fuori dal set. Ce li ho sul naso anche ora, ma non si tratta di una questione affettiva. Non amo il sole, i miei occhi non lo sopportano. Qui a New York la luce è troppo forte.
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